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Chiuditi sesamo

Editore: 
Edizioni lavoro
Luogo di edizione: 
Roma
Anno: 
1992
Traduttore: 
M.L. Petta

Recensione: 

Chiuditi Sesamo, edito nel 1983, è l’ultimo libro della trilogia ambientata negli anni della dittatura di Siad Barre, "Variazioni sul tema di una dittatura africana" dopo "Latte agrodolce" e "Sardine".Vi tornano, come figure di sfondo, gli stessi personaggi, ma il protagonista è Deeriye, un vecchio eroe della lotta contro i colonizzatori italiani, coinvolto ora, suo malgrado, nell’attività sovversiva di un gruppo di giovani intellettuali oppositori del regime. Nato nel 1912 e quindi uomo del passato, legato alla tradizione, devoto musulmano e devoto veneratore del Sayyid, eroe nazionale della fine ottocento e poeta. Oltre a questo modello il patriarca ne ha un altro che appartiene anch’esso alla tradizione orale, il leggendario monarca Wiil Waal di cui racconta due storie al nipote. La sua è la saggezza popolare, tradizionale, orale, legata al Corano, mentre i figli fanno parte dell’élite intellettuale moderna, Zeinab è medico, Mursal docente universitario di diritto. Ciononostante Deeriye non è ostile ai cambiamenti e promuove anzi una visione moderna della Somalia che superi le divisioni tribali per diventare nazione. Tutto il testo è una discussione, irta di dubbi ed incertezze, su temi etico-politici che poi si trasformano in azione, in vicenda. Il tema è lo stesso di altri grandi romanzi africani ("Petali di sangue", "Viandanti della storia", "Gli interpreti") dell’epoca postcoloniale, tragicamente legato all’attualità: è lecito opporsi con la violenza alla violenza? è lecito uccidere il tiranno? Nella discussione sul tema si evidenziano le profonde differenze tra la lotta contro i regimi coloniali e queste dittature nazionali:se nelle prime c’era un nemico ben definito, queste ultime sono una specie di cancro. Non ci sono certezze nella risposta, prevale il dubbio, l’unica cosa sicura è la ricerca sofferta di una soluzione ed il passaggio del testimone da una generazione all’altra. L’ultimo a riceverlo nel romanzo è il nipote Samawade, legato al nonno da un affetto profondo. Queste idee e queste tesi sono incarnate in personaggi, vivono in sentimenti, evolvono in vicenda che è trama del romanzo e storia contemporanea. Nel testo acquista rilievo la profonda religiosità di quest’uomo, la sua vita di vecchio tra ricordi, riflessioni, rimpianti e visioni, la delicatezza dei rapporti familiari, in particolare con i figli cresciuti durante la sua prigionia, con la nuora straniera, con il giovane nipote. Natascia, la nuora, è un’ebrea americana, una straniera. La sua figura permette di esaminare le situazioni da un punto di vista ‘altro’, da un diverso angolo d’osservazione e permette anche preziosità linguistiche. L’inglese di Farah è estremamente contaminato dalla cultura locale, ricco di inventiva e giochi semantici, mescolato a parole e modi di dire somali, ad una intera poesia in somalo. La presenza di questo personaggio, con cui Deereye comunica solo in italiano, consente altri giochi linguistici. I passaggi a termini italiani privi di traduzione sono molto frequenti. Con Zeinab, la figlia, Natascia assolve un altro ruolo importante nell’opera di Farah, l’affermazione della necessità dell’emancipazione femminile. E poi Khalif, il pazzo, il cui fascino, il cui carisma costringe la gente a fermarsi e ad ascoltare con reverenza le sue parole, quelle parole che i ‘savi’ non osano dire. C’è stretta relazione tra ragione e pazzia, come tra fenomeno e mistero. E’ il mistero che si ama nella pazzia. Ma il personaggio più vivo, più intenso e dolce, è la moglie di Deeriye, ormai morta, ma che gli appare continuamente a discutere e a guidare le sue azioni.

Autore della recensione: 
Maria Rosa Mura