Tu sei qui

M

Autore: 
Editore: 
Besa
Luogo di edizione: 
Nardò (LE)
Anno: 
2002

Recensione: 

L’enigma racchiuso nel titolo del romanzo di Ron Kubati si scioglie quasi subito, nella seconda pagina del testo. Un uomo, voce narrante, si sveglia in una anonima stanza d’albergo, esce e si tuffa nello «strano silenzio deludente» di una altrettanto indefinita città.
«Ad un certo punto, però, una grande M colorata m’invitò giù. Appena scesi, sentii addosso una strana accelerazione. L’energia della superficie sembrava nascosta laggiù. Tutti correvano. Scendevano scale di marmo, scale mobili, sceglievano la direzione, saltavano sul treno in corsa. Studenti, operai, ladri, imprenditori, zingari, profughi schizzavano verso i treni in uno strano, alienante, appiattente e democratico spazio comune» (p.8).
Superate le prime righe che creano una atmosfera ovattata e sospesa, vediamo come il lettore venga travolto dalle luci e da un senso di accelerazione, come scrive l’autore, che resteranno una delle note peculiari del romanzo.
Il ritmo del testo è veloce, la scrittura corre, i pensieri dell’io narrante si affastellano talvolta anche caoticamente e la struttura stessa di molti brani, fatta di frasi brevi, paratattiche, contribuisce a creare tale sensazione. Tuttavia a tali picchi ritmici, non sostenibili troppo a lungo, si affiancano momenti di calma, di rallentamento. Forma e contenuto appaiono inscindibili, l’uno sostiene ed alimenta l’altra ed in essa trova riscontro. La vita dell’io narrante alterna a momenti di accelerazione ed euforia altri di sperdimento, silenzio, noia.
Il protagonista della storia è un giovane scrittore alla ricerca di un editore, che sopravvive facendo mille lavori. Trova amicizia e rifugio in persone un po’ simili a lui, senza troppi punti fermi, se non quello del valore dell’accoglienza e del supporto reciproco. È una strana, simpatica, famiglia quella dipinta nel testo, sebbene anche in essa si incrocino storie pesanti, di solitudini ed anche violenze.
Il romanzo è percorso da ritmi che si alternano, da registri differenti che sembrano seguire l’ondivaga esperienza biografica dell’io narrante.
La tentazione di cadere nella retorica del soggetto nomade e senza patria è forte, soprattutto se si pensa che l’autore è immigrato in Italia. Tuttavia, ricorrere ad una chiave etnicizzante sarebbe un’operazione iniquamente riduzionista, dal momento che le sensazioni che la lettura trasmette, come anche le immagini che crea, potrebbero permettere a chiunque di specchiarsi e ritrovarsi.
L’idea di movimento rimane comunque la nota che apre e chiude il testo, sebbene all’altezza dell’explicit i toni diventino molto più pacati, coperti da un velo grigio di malinconia che contrasta l’immagine iniziale della M colorata.

Autore della recensione: 
Silvia Camilotti