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Viene a trovarmi Simone Signoret

Editore: 
Nottetempo
Luogo di edizione: 
Roma
Anno: 
2013

Recensione: 

L'ultimo romanzo di Zarmandili si colloca in un'ambientazione cara all'autore, l'Iran, cornice della maggior parte dei suoi romanzi, nonché paese dove è cresciuto e che ha lasciato da oramai molti anni. Il clima è quello, al limite tra cupo e surreale, dell'Iran al passaggio storico dato dal rientro dall'esilio di Khomeini. Il testo si struttura come una sorta di dittico, in cui l' ordine cronologico degli eventi pare rovesciato, sino a quando il brevissimo terzo capitolo svela una certa continuità delle azioni descritte. Come si desume dal titolo che cita l'attrice francese, il filo rosso del cinema attraversa tutte le pagine, a partire dalle citazioni presenti in epigrafe a ciascun capitolo dei registi John Huston, Michelangelo Antonioni e Bernardo Bertolucci. Sono dunque molti gli indizi, extra trama, che riconducono all'ambito tematico del cinema, confermato dall'attività del protagonista Ciangis Salami, regista iraniano un po' pavido e maldestro, con una bassa stima di se stesso, che finisce in prigione sospettato di "ammiccamenti al sionismo" (p.20) in quanto un protagonista di un suo film è ebreo:
"a pensarci bene, mi dispiace non poter più fare film. Non che ne abbia tanti al mio attivo, o che fossero particolarmente belli. No, non piacevano neppure a me. Erano delle scialbe storie di zitelle anzianotte che continuavano a cercare marito, senza trovarlo, restando sole e inconsolate per il resto della vita." (p.33)
I motivi della sua carcerazione e il divieto di girare film una volta uscito di prigione, sottolineano la cecità del regime dello Scià, a cui il nostro non può, né tenta, di opporsi. Le ore trascorse in cella gli consentono di ripercorrere la sua infanzia, che poi ritroveremo raccontata nella seconda parte del testo, sorta di sceneggiatura di un film raccontato nel suo farsi. In questa seconda ampia sezione si intrecciano le vicende di due amici del protagonista, un ragazzo di origine ebrea Elias e Simin, una giovane musulmana figlia del capo della Savak, gli efferati servizi segreti iraniani, poi costretto a fuggire con il rovesciamento politico dato dal ritorno di Khomeini, che travolge l'intera famiglia della ragazza. Nonostante le diverse appartenenze, nessuno dei giovani protagonisti vive con disagio il legame d'amicizia, al punto da renderlo oggetto di bonario scherno:
"io e te siamo l'ONU della convivenza tra le religioni, gli dico". "Il segretario generale dell'ONU però resto io, perchè sono ebreo e quindi più furbo, più intelligente e più preparato di te a guidare il mondo" (p.120).
In questo intreccio di tempi, storie e vite, vi è anche una parentesi dell'esperienza italiana - romana - del protagonista: altro indizio ricorrente nelle opere di Zarmandili, che sembra confermare la volontà di dare spazio nelle sue pagine a quello che è diventato il suo paese (e città) d'adozione. In tal caso, Ciangis viene mandato a studiare cinema a Roma, senza però ottenere grandi risultati, dato il suo essere un po' goffo e impacciato, in una sospesa bonarietà che però cattura le simpatie di chi legge. Ciangis è un uomo comune, vittima della storia, che ama rifugiarsi nel suo mondo di riprese, luci, inquadrature e personaggi. La terza citazione al capitolo finale, di Bertolucci, pare calzante nel definire il suo modo di vivere il cinema, anche e soprattutto da dentro una cella: "mi sembra che tutto il cinema sia fatto della stessa materia dei sogni" (p.198).

Autore della recensione: 
Silvia Camilotti