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Editoriale

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E parliamo se volete di decoro

È stata una strana estate, mesi molto caldi, difficile uscire mattina e pomeriggio, caricare scaricare, affrettarsi ad appuntamenti, aprire la finestra su un sole di nuovo implacabile, su accenni di nuvole che promettono senza mantenere. Ma il calore non è stata la cosa più difficile da sopportare. Lo è stato di più il violento temporale notturno e scoprire il giorno dopo che "qui si è allagato tutto, la coperta è zuppa e non la posso asciugare". Lo è stato di più la tana da topi in cui si concentrano per passare la notte, il pertugio da cui si sporge una giovane testa "oggi non mi sento bene", la coperta su cui passeggiano i colombi, quella su cui si mangia e si dorme e che ha un proprietario finchè solerti netturbini non la buttano e solerti volontari non la rimpiazzano. Perchè quel che conta è il decoro, con le sue aiole in ordine e gli oleandri ben tagliati, che sotto non ci siano masserizie.

 Mi piace questa Trento bella, fiorita, ordinata, orgogliosa di sè e proposta ai turisti con le sue eccellenze. La ricordo bene la Trento della mia giovinezza, palazzi irriconoscibili nel loro nero fumo, deserta e spenta, nessuna coscienza del proprio valore. Mi piace la virata che ha fatto, i suoi ponti pieni di fiori, i suoi déhors, la luminosità delle strade.

La vorrei ancora più bella, bella dentro, come si dice delle persone che, non importa, non hanno avuto in sorte grandi grazie, ma ben vi suppliscono con infinite altre doti.

La vorrei umana, con signore che rispondono gentilmente ad una richiesta di indicazione stradale, "perchè mi ha risposto che non le serve niente, quando le ho chiesto dov'è piazza Duomo?"

Vorrei una signora che non manda a quel paese due giovani, certo non damerini visto che sono senzatetto, che le chiedono dov'è via Bezzecca.

Vorrei un uomo e una donna che non chiamano 'cioccolatini' i negri (lasciatemi usare questa parola dura per esaltare la bella negritudine dei nostri 'ragazzi' africani), ma vivaddio ne imparano qualche nome.

 Vorrei soprattutto che non si nascondessero sotto il tappeto i problemi, gli uomini che impongono prese di posizione, i senza tetto che disturbano la buona coscienza e rovinano il tappeto fiorito. Non mi basta il mantra "sono sulla strada per loro scelta e preferiscono le stelle a una casa" "la società fa tutto quello che può", "non si può fare di più altrimenti arrivano da tutta italia da tutta la germania da tutto il pakistan".

Vorrei una Trento che affronta con un cuore grande l'emergenza freddo e l'emergenza caldo l'emergenza Pakistan e l'emergenza Siria, che affronta come un momento normale della vita di una comunità il fatto che 100/200/500/2.000 persone su 150.000 abbiano bisogno di un aiuto particolare per ritornare ad essere o diventare parte attiva nel tutto. Non trovo infatti normale che vivano, si trascinino e si ammalino, patiscano persone senza dimora in una città dove sono di più gli edifici sfitti di quelli occupati, una città dove si possono raccogliere prodotti alimentari per i poveri in quantità tali da buttarne.

Dopo questa estate calda la conosco ben di più questa Trento, lì giocano, là fanno musica, fanno spogliarello per provare allegramente magliette nuove, si allenano, cercano lavoro, sognano e se la lasciano raccontare. Sullo schermo del telefonino i giovani non sposati hanno la propria immagine, ben curata, spesso florida, in abiti importanti. Come volessero continuare a ripetersi chi sono e possono essere.

Molti sono stranieri, hanno perso il lavoro, oppure finito il progetto di accoglienza non hanno trovato sistemazione, molti hanno fatto domanda di asilo e non sono ancora entrati nel progetto.

Molti, italiani o stranieri che siano, semplicemente, non possono affrontare un mercato della casa impazzito, avido, non hanno sufficienti risorse, hanno bisogno che si trovino per loro soluzioni abitative più economiche.  Li incontro qui o là nei parchi e nelle strade, "ciao, mama, come stai?", "somigli alla mia mamma". Hanno tutti una mamma che se è ancora in vita certo li pensa e soffre per la loro lontananza. E hanno ragione, se non proprio miei, certo sono tutti nostri figli.