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La "strana" coppia: una convivenza inaspettata

Persone con un passato difficile si aiutano reciprocamente

di Manuel Beozzo

Questa storia parte nel 2012 dall'incontro di due realtà che, in modo diverso, rappresentano forme di ciò che frettolosamente viene identificato come "disagio sociale": i richiedenti asilo da un lato e i pazienti psichiatrici dall'altro. Indubbiamente chi appartiene a questi due gruppi non ha (avuto) vita facile e pare sia stato proprio questo comune denominatore a determinare il successo di questa particolare forma del progetto “Residenzialità leggera”.

Prima dell’inserimento dei richiedenti asilo, il progetto mirava al coinvolgimento delle famiglie trentine in esperienze di convivenza (co-housing) con persone in difficoltà (siano esse disoccupati, anziani senza famiglia, persone con determinati livelli di disagio psichico ecc.). L'obiettivo era il loro inserimento, re-inserimento o permanenza in un contesto di vita normale, che li portasse ad acquisire sicurezza e prospettasse un futuro in autonomia, lontano da strutture residenziali. Vista però la scarsa risposta da parte delle famiglie locali, gli iniziatori del progetto (il Servizio di Salute mentale e il Servizio Attività sociali del Comune di Trento) decisero di tentare il percorso con i richiedenti asilo. Accanto all’importanza del valore sociale dell'iniziativa, anche il risparmio economico fu un fattore decisivo per persistere nel dare avvio al progetto: un paziente psichiatrico affidato ad una comunità ha un costo di ca. 48.000 Euro annui, mentre la sua convivenza con un richiedente asilo avrebbe un costo di ca. 8.000 Euro all’anno. Il progetto, puntando all'interazione di gruppi di persone con un passato complesso, non prevede auto-candidature ma segnalazioni da parte di terzi: il Cinformi, la Caritas ma anche gli assistenti sociali operano da garanti e segnalano possibili interessati a prendere parte alla formazione, necessaria per poi essere ammessi al progetto di convivenza. Per ogni corso (dal 2012 ad oggi ne sono stati organizzati 6) vengono in media segnalate 60-70 persone. Dopo un primo incontro durante il quale viene spiegato in dettaglio lo svolgimento e l'obiettivo del progetto, circa la metà dei partecipanti si ritira. Per chi decide di restare inizia la formazione in aula, realizzata con linguaggio semplice e mirata soprattutto ad una migliore conoscenza dei candidati. A conclusione della fase formativa, i richiedenti sono coinvolti in un tirocinio di 60 ore in strutture che ospitano malati psichiatrici. Questa attività, valutata da operatori, è di centrale importanza per dare la possibilità ai futuri accoglienti (i richiedenti asilo per l’appunto) di iniziare a rapportarsi con i loro futuri coinquilini. Non è certo un caso che questa fase si configuri come una sorta di ulteriore auto-selezione: circa il 30-40% dei partecipanti decide di uscire dal progetto, non ritenendosi pronto a questo tipo di esperienza; per i restanti, in media 12-15 persone, inizia il loro ruolo di accogliente, ovvero di convivenza con una persona con disagio psichiatrico. Ogni 15 giorni un operatore visita accolto e accogliente per valutare lo sviluppo della convivenza e lo stato di salute psichica di entrambi. Solitamente il progetto vede la partecipazione di accoglienti per un periodo transitorio (in media 6-8 mesi), fungendo in generale da trampolino per entrare nel mondo del lavoro, acquisendo esperienza spendibile altrove, o dello studio, formandosi ad esempio per restare nel settore dei servizi socio-sanitari. A distanza di alcuni anni dall'inizio del progetto, gli operatori hanno potuto notare come gli immigrati, specialmente quelli provenienti dall’Africa centrale, hanno mostrato una maggiore naturalezza nel rapportarsi ai pazienti, accettando la malattia ma riuscendo allo stesso tempo a mantenere la necessaria distanza emotiva. È stato inoltre notato come, nei richiedenti asilo, l'avere vissuto forti esperienze di vita (la guerra, l'abbandono del proprio Paese, di parenti e amici, i tragici viaggi verso l’Europa ecc.) permette loro di reagire meglio a questo tipo di situazione, relativizzando in maniera positiva l'interazione e la convivenza con persone affette da malattia.