Da Nord a sud, dalle acque del ghiacciaio al Mediterraneo, il violoncello di ghiaccio percorre al contrario la strada dei migranti.
di Alpha Condè*
Non ci credevo, era una storia davvero incredibile che si potesse fabbricare uno strumento musicale col ghiaccio e riuscire perfino a suonarlo. Ero curioso da morire. È stata davvero un'emozione scoprire con tutti i miei sensi che invece era realtà, che un artista l'aveva pensata e resa concreta, che un altro riusciva (non tutti possono!) a suonare uno strumento così particolare, che un altro ancora lo utilizzava come simbolo dei mutamenti dei nostri tempi, mettendo in relazione acqua, cambiamenti climatici e migrazioni. Tim Linhart, Giovanni Sollima e Corrado Bungaro, dal primo concerto del 29 gennaio a Trento, mi hanno accolto all'interno di quel gruppo eccezionale che ha portato il violoncello di ghiaccio a suonare a Venezia, Roma e Palermo, dodici persone che mi hanno reso felice per molti giorni. Avevo la sensazione di averli conosciuti da tanto tempo, forse perché con tutti erano ore di continua vita comune, di riunioni notturne per la gestione quotidiana del tour, di problemi da affrontare insieme. Condividere le stanze con Corrado, l'ideatore di questo poetico progetto e del film che lo testimonia, ridere con Carlo e sfogarsi con lui a parlare di musica, scambiare idee con Compagno Busetto, cantare mentre Giacomo guida l'auto e insieme indica una direzione alla folla delle musiche che ho nella testa, trovare tutti insieme la soluzione a un problema di raffreddamento, quando a Roma il CELLO veniva suonato all'aperto senza refrigerazione per un'ora e mezzo! Le sale erano sempre gremite, anche repliche a Trento e Palermo, ma per me l'ambiente più caldo, in modo commovente, è stato il monastero di Venezia, con i monaci che ci accolgono a cena. Nel frattempo erano molte le interviste che mi venivano fatte, per ripercorrere la mia strada di richiedente asilo, inversa a quella che stavamo percorrendo dal ghiacciaio al mare. Non facile parlarne. Scavare in questi ultimi anni della mia vita. Sul traghetto tra Napoli e Palermo. Alle cinque del mattino, un'alba sul mare. E siamo arrivati alla meta del nostro percorso. Siamo saliti su una barca, chi ha fabbricato, chi ha suonato, chi ha ideato e io, testimone/simbolo dei viaggi di tante persone. Dal porto di Palermo ci siamo diretti al largo. Già prima lo sapevo che la sua vita era finita, seppur breve, ma vederlo tirar fuori dal suo astuccio e buttare nell'acqua, mi è scatenato una forte compassione, come si trattasse di perdere una parte del proprio corpo. Ha galleggiato per un po', poi è affondato, poi è risalito per breve tempo. Mentre con tristezza lo vedevo sciogliersi, mi sembrava però quasi un omaggio, come se dessimo un momento di sollievo a chi in quel mare era scomparso per sempre, la restituzione nel ricordo di un soffio di vita. Tim si è buttato nell'acqua gelida quasi a salutarlo e per un breve momento ha grandinato. Siamo quindi rientrati in porto, di nuovo in traghetto, di nuovo in macchina, di nuovo a Trento. Di nuovo con la musica, la sola che unisce il mondo senza confini.
*Alpha Condè, nato nella Guinea Conakry, laureato in economia, racconta con le canzoni il suo vissuto recente. È richiedente asilo alla Residenza Fersina di Trento.