di Simone Spera
“Le dighe sono i templi dell’India moderna” , annunciava trionfante il Primo Ministro indiano Nehru nel 1946. In questo fervore, sono state pianificate ben 3.200 dighe lungo il fiume Narmada, compreso tra gli Stati del Gujarat, Madhya Pradesh e Maharashtra. La più imponente e controversa è stata la diga Sardar Sarovar, tanto che nel 1992, per la prima volta nella storia, la Banca Mondiale ha istituito una commissione per un riesame indipendente del progetto, finanziato da essa stessa; e ha ritirato i suoi fondi. Nonostante ciò, il Governo ha deciso di addossarsi i costi del progetto e continuare. Periodicamente, la diga viene sempre più innalzata, sommergendo villaggi, provocando negli anni l’esodo di decine di migliaia di ecoprofughi che, se ci riescono, ricevono in cambio un compenso in denaro o terreni aridi. A volte, siccome vivono su terre che non gli sono intitolate formalmente pur abitandoci da tempo immemore, non vengono qualificate come “persone colpite dal progetto” (PAP, nella sigla inglese) e non ricevono nessun compenso. Non stupisce che, nel 1999, il 57,6% degli evacuati fossero Adivasi, popolazioni preindoeuropee che abitavano in India da prima del II millennio a.C., ma che oggi costituiscono solo l’8% della popolazione indiana: il progetto promuove l’irrigazione e l’approvvigionamento di acqua dell’India moderna e urbana a spese delle minoranze etniche. Il dissenso si è coalizzato nel Movimento per la salvezza del Narmada, che organizza azioni di protesta non-violenta (“Satyagraha”, ossia, ‘resistere nella verità”): scioperi della fame, marce a mani legate, uomini donne bambini legati agli stipiti delle porte, immersi nell’acqua, picchiati ed evacuati a forza dalla polizia, come a Manibeli, nel 1993. Un episodio simile si è ripetuto ad aprile, l’anno scorso, nel villaggio di Gogalgaon. La mobilitazione è riuscita, in passato, a smuovere la Banca Mondiale, ma sotterfugi e contrasti si replicano indefinitamente. Solo lo scorso 3 Aprile, ad esempio, 11 mila famiglie di Adivasi colpite dal progetto Sardar Sarovar sono riuscite a ottenere terre che gli erano state assegnate da ben trenta anni: le autorità non gliele avevano mai comprate. Proprio per sorvegliare i processi di ricollocazione, nel 2008 è stata istituita una commissione di giustizia e affari interni, che all’inizio di quest’anno ha terminato la sua indagine. Il governo del Madhya Pradesh ha preteso di accedere per primo ai dati, in segreto, ma l’alta corte di giustizia gli ha imposto di condividerli da subito con il Movimento per la salvezza del Narmada e le altre parti. Al che, il governo ha fatto ricorso alla corte suprema e raggiunto il suo obiettivo. Ad oggi, gli attivisti del Movimento per la salvezza del Narmada continuano a chiedere la pubblicazione dell’inchiesta della commissione di giustizia. Il Madhya Pradesh vuole eludere controlli nel versamento dei suoi rimborsi. Nel frattempo, dal 27 al 29 Aprile, a Bhopal, si fa uno sciopero della fame per chiedere la risistemazione di 7 mila persone che hanno perso la loro casa. I lavori stanno innalzando la diga da 122 a 139 metri, e, secondo gli attivisti del Movimento per la salvezza del Narmada, 40 mila persone subiranno allagamenti durante la stagione dei monsoni e dovranno essere ricollocate; il segretario generale del governo del Gujarat dà altre cifre: si tratterebbe di 300 famiglie nel Maharashtra e 1.200 n Madhya Pradesh. In molti, comunque, aspettano ancora la dichiarazione dell’autorità incaricata dei risarcimenti che li qualifichi come “persone colpite dal progetto”. Intanto, le regioni del Kutch e del Saraustra che dovevano essere irrigate dal progetto restano aride.
Per aggiornamenti:http://www.narmadaandolan.org/