Il secondo romanzo dello scrittore senegalese, che segue, dopo qualche anno, Io, venditore di elefanti, testo autobiografico a cui Pap Khouma deve la sua notorietà, presenta tratti molto diversi dal precedente. È ambientato nel Sahel, zona dell’Africa che include anche il Senegal, e vede come protagonista Og, un uomo che ritorna a casa, dopo anni di lavoro come infermiere a Milano, per trascorrervi un periodo di ferie. La vicenda si colloca ai limiti tra il reale e l’immaginario, nel senso che mescola storie, personaggi ed avvenimenti che rischiano di far perdere al lettore la cognizione di quanto sta accadendo e delle ragioni per cui accade.
La realtà di Milano e quella di un pezzetto d’Africa si affiancano e si incrociano attraverso la vicenda – travagliata – del protagonista e dei personaggi, più o meno loschi, che gli ruotano intorno, e che sembrano rispecchiare il loro paese, ridotto al caos, all’anarchia ed alla guerra civile.
L’autore coglie molteplici occasioni per denunciare situazioni di degenerazione e sfruttamento che vedono spesso la loro origine fuori dall’Africa e più precisamente in Occidente. Tuttavia, sarebbe una forzatura definire Nonno Dio e gli spiriti danzanti un romanzo di denuncia; forse, paradossalmente, lo era di più Io, venditore di elefanti, che sebbene privo di elementi avventurosi e di fiction creava un effetto maggiormente incisivo nel lettore.
L’elemento innovativo sta nel ruolo attribuito alle donne africane del romanzo, soprattutto nella parte finale: esse tentano, anche attraverso l’istituzione di una “Coalizione delle donne” di divenire un soggetto politico in grado di affrontare le sfide che si preparano ma che, purtroppo, verrà spazzato via da un colpo di stato “fulminante come la malaria” (p.200). Se da una parte viene fornita una rappresentazione energica e rivendicativa delle donne, contraria all’immaginario comune che le incastra nel ruolo di “angeli del focolare” e custodi della tradizione, dall’altra i tratti descrittivi che caratterizzano i riferimenti ad una dimensione folcloristica locale alimentano un’idea di tribalismo che legittima uno sguardo inferiorizzante nei confronti di questi popoli. Da questo punto di vista, la scelta dell’autore vedrebbe il tentativo di bilanciare due diverse, o addirittura, opposte istanze: da una parte, quella di sorprendere il lettore descrivendo il carattere attivo, impegnato e combattivo di donne solitamente pensate prive di voce ed iniziativa e dall’altra assecondando il suo immaginario con descrizioni, anche cruente, di riti e abitudini tradizionali.
Il finale del romanzo, tuttavia, non lascia molto spazio alla speranza: Og, imbarcato su un volo per l’Italia con un’accusa infondata di omicidio, è un uomo spossessato da se stesso, privato di tutto, svuotato, come, in fondo, il paese a cui appartiene e che è costretto a lasciare.