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Il figlio del figlio

Editore: 
Avagliano
Luogo di edizione: 
Roma
Anno: 
2010

Recensione: 

Il romanzo di Balzano ripercorre la vita di tre generazioni, nonno, padre e figlio in un percorso che dal piano biografico su cui si sviluppa assume valore per (almeno) una intera generazione di italiani: il nonno Leonardo infatti, emigrò da Barletta a Milano con la moglie e il figlio ragazzino, al pari di migliaia di famiglie che dal sud Italia si spostarono nelle grande città del nord, senza più fare ritorno.
Questo romanzo racconta l'ultimo ritorno, quello che i tre uomini compiono per andare a vendere la casa di famiglia, quella in cui hanno trascorso tutte le estati e che ora non resta che vendere. Oramai la vita di figli e nipoti è altrove, e la casa è solo un fardello, ma la sensazione di perdita delle radici resta ancora molto forte. E tale senso di angoscia e di sconfitta non è solo del nonno, ma anche del nipote Nicola, che sebbene nato altrove, percepisce il vuoto e la perdita: "Non avevo più un posto dove tornare. L'immaginario rimuoveva uno spazio luminoso buono per rigenerarsi dalle mitragliate dei giorni uguali. Milano e nient'altro che Milano, come se la mia vita fosse la continuazione di un'appartenenza secolare. Stare e nient'altro che stare. Eppure la città vista dal mare, le palme, le facciate a scaglie, la schiena delle case di Barletta vecchia aggrumate una sull'altra non mi appartenevano se non perché ci ritrovavo echi di quei due, scatti di memoria sbiancata. Eppure piangevo. Eppure sentivo di essere anch'io lo sradicato, di esserlo sempre stato. Seme piantato in terra ancora fredda, ecco cosa sono. Fiore che non sboccia. Uomo che non si accasa. Illuso di aver studiato e viaggiato per avere di più di un contadino analfabeta, di più di un ragazzo emigrante presto invecchiato" (139)
Nicola si sente sradicato, senza più un luogo dove tornare, sebbene in quel luogo non ci sia nato. E il suo bilancio a perdere nasce anche dal senso di inadeguatezza, comune a molti suoi coetanei, che nonostante gli studi, le esperienze, le maggiori possibilità avute rispetto a genitori e nonni, si ritrovano senza futuro, precari nel lavoro e nella vita. Il viaggio raccontato in questo romanzo non è solo dunque nel passato dell'emigrazione interna italiana, ma anche nell'Italia di oggi, di cui Nicola è un tristemente significativo rappresentante nella sua incertezza di futuro.
Sono tante le condizioni che acuiscono il senso di perdita, in queste pagine: il nonno, contadino analfabeta, per non aver avuto dei figli in grado di accordarsi per "salvare" la casa di famiglia; suo figlio, il cui dialetto italianizzato era "prodotto ormai artificiale del pensiero che non gli sbocciava più nella lingua del padre" (119) e il figlio del figlio che sente di aver perso il passato e forse anche il futuro.
Il romanzo di Balzano è un affresco della storia italiana del secondo Novecento, che conferisce valore collettivo a esperienze individuali, secondo un punto di vista di un trentenne che riporta abilmente il senso di smarrimento delle generazioni precedenti, ma anche di quella a cui appartiene, il cui sentirsi fuori posto origina da motivi diversi.

Autore della recensione: 
Silvia Camilotti