Nella prefazione Armando Gnisci rileva che Claudio Nerèo Pellegrini “non scrive poesie da prete”. Sono infatti le domande di un uomo sull'esistenza; Dio è presente, ma gli si chiede conto dell'ingiustizia e lo si sogna come un Dio-madre. E' una poesia che canta il dubbio, l'esilio, l'agonia dei ricordi, la monotonia. Nella compassione per quelli che soffrono si proclama una natura felice e semplice, quella della sua infanzia libera nella natura. Si racconta l'urgenza di uscire dall' unico cerchio personale, entrare e con-patire ogni vita, affermare la gioia del vivere contro chi annienta ogni bellezza, mortificando la vita con proibizioni, imposizioni, politiche di odio e di paura. E' la rivolta dell'implacabile compassione del Nazareno, di chi sceglie di “ovunque vivere altrove/ controvento ad accendere/ almeno un fiammifero.” E' il sogno dei fiori di pesco, delle viole che infittiscono lungo i torrenti, delle farfalle e delle stelle, del profumo di miele, dell'incanto femminile e delle tenere carezze dell'amore.