Tu sei qui

Questo viaggio chiamavamo amore

Editore: 
Einaudi
Luogo di edizione: 
Torino
Anno: 
2015


Recensione: 

L'ultimo romanzo di Pariani conferma il grande attaccamento e interesse dell'autrice nei confronti dell'America Latina, protagonista anche di molti dei suoi romanzi precedenti. In tal caso la prospettiva varia, poichè l'ambientazione resta la medesima, tuttavia Pariani racconta abilmente la storia del poeta Dino Campana e della sua esperienza (effettiva? immaginata? non se ne ha certezza) nell'America del sud, quando erano tanti i connazionali a partire, connazionali che effettivamente il giovane incontra nel suo viaggio di libertà, scoperta, illusione e di cui racconta le fatiche e l'attaccamento verso casa: al suono di una chitarra ritornano infatti subito con la mente "agli affetti lontani, con profumo di pascoli  e di latte appena munto" (p. 68).

Il romanzo intreccia due piani cronologici e differenti generi letterari: il racconto in prima persona del viaggio nei territori sconfinati dell'Argentina e dell'Uruguay, occasione e simbolo di estrema libertà, ma anche scontro con le asperità che la migrazione porta con sè, si alterna all'esperienza descritta in terza persona della clausura forzata nel manicomio di Castel Pulci, in Toscana, dove il poeta effettivamente ha "vissuto" per anni. Qui i difficili momenti di confronto con lo psichiatra, Carlo Pariani,che tenta di far emergere il poeta che c'è nel suo paziente, i pensieri del paziente stesso che da fuori si guarda, seguento la strategia del discorso indiretto libero che rende fluida la narrazione.

Vi è poi la difficile esistenza nel manicomio, il non volersi piegare alle angherie del personale : "E Caliban ne è l'esempio perfetto col suo rendermi la giornata irta di spine: perhcè io non lo liscio come fanno gli altri ricoverati che lo temono" (p.102). Emerge la forza di volontà e l'autonomia spavalda del protagonista, che conserva uno status di critica lucidità verso la realtà che lo circonda. Egli si definisce "io sono uno di quei tipi che non si trovano bene da nessuna parte, nomadi di spirito, costantemente devastati da una scontetezza feroce che li spinge a cercare nuovi paesaffi e incontri. per questo gli altri, fin da quando ero piccolo, mi hanno segnato a dito, come lo svitato, il matto" (p. 70).

La scrittrice riesce abilmente a entrare nei panni del poeta, e fare suo lo sguardo di lui e a descrivere, con allucinata lucidità, il suo mitico passato di viaggiatore e il suo presente recluso.

 

 

 

Autore della recensione: 
Silvia Camilotti