Tre racconti recita il titolo: ma, in questo piccolo volumetto di appena 88 pagine e formato atipico (rettangolare ma tendente al quadrato, 12x14,5 cm), le storie che si narrano sono molte, molte più di tre.Voci diverse si alternano e si incastrano, tra dialoghi serrati, racconti nel racconto e finali aperti (Il rapimento), ricordi che si intrecciano a esistenze straniate, (I quattro agosti della Signora Agostina B.), incontri che incrociano passato e presente (Sembra tutto O.K.). Ciascun brano è internamente franto in altri che si intersecano al primo come le strade imperscrutabili della vita; ciascuna storia si moltiplica nelle diverse vite di ogni singolo personaggio, franto tra lo spaesamento del presente nell’altrove italiano, il passato felice nella ex-Jugoslavia, l’urlo nella guerra fratricida, e il ricordo ora dolce e nostalgico, ora violento e desideroso di oblio di quel passato.
Il passaggio tra questi livelli temporali non è sempre chiaro, anche se molto aiuta il riferimento preciso al luogo e al tempo degli avvenimenti. Lo scivolamento dalla dimensione temporale a quella memoriale è sempre fluido, come fluido è il ricordo: ma, nel testo, al lettore può capitare di perdersi nella meticolosa e sottile intersezione orchestrata da Stanišić attraverso un ben calibrato sistema di simboli. La pagina è, infatti, percorsa da un continuo gioco di corsivi, parentesi tonde e virgolette basse, che sembrano quasi arginare il pullulare di vite spezzate, esiliate, violentate, o solo apparentemente sopravvissute al conflitto serbo-croato; vite che chiedono una voce nella pagina, non avendola potuta avere su quella guerra che ha spazzato via la loro esistenza, quella dei propri cari, e la stessa civiltà, lingua e cultura bosniache. Ma Stanišić non racconta mai quel conflitto fratricida, che è però il sostrato sotterraneo che muove la scrittura, che si insinua tra le pieghe dei personaggi e ne condiziona l’agire. L’aver visto e vissuto la guerra, qualsiasi guerra, porta con sé la condanna dell’essere sopravvisuti, innesca la successiva lotta con se stessi per tornare alla vita. Stanišić indaga appunto quel ‘dopo’, segue le vite di chi è stato costretto ad andare altrove ma vive ancora in quel passato, scisso tra la volontà di dimenticare e ricordare; di ritornare (Il rapimento) e rifarsi una vita, suo malgrado, in un altro luogo (Boris B.), o è invece costretto a rimanere in un limbo, nell’attesa di un futuro dai confini incerti (I quattro Agosti della sig.Agostina B).
Tentare di riassumere brevemente questi Tre racconti risulta quasi impossibile, se non pagando il prezzo di un inevitabile appiattimento. Si pensi solo che nei già citati I quattro agosti la vita della signora Agostina B. si incrocia magicamente con quella della sua badante («lei», di cui non è mai detto il nome): la solitudine in cui vive l’anziana è dovuta ai quattro fatali mesi d’agosto in cui il padre prima, durante la prima guerra mondiale, e il marito poi, durante la seconda, sono partiti per il fronte senza più far ritorno. L’affiorare di questi ricordi si alterna di pagina in pagina alla vita della badante, creando delle inaspettate analogie: perché «lei», pur essendo riuscita a fuggire dalla Bosnia insieme al marito, vive di fatto nel silenzio e nel ricordo di ciò che il marito era là e ora non sarà più, corroso dalla rabbia e dall’impotenza per quel che accade nella sua terra. Il lirismo e la sottigliezza dei richiami interni di questo e degli altri testi non trovano, a mio avviso, alcun corrispettivo nel panorama contemporaneo.