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Fra-intendimenti

Editore: 
Nottetempo
Luogo di edizione: 
Roma
Anno: 
2010

Recensione: 

I racconti della scrittrice di origine somala emigrata in Italia da molti anni si mostrano molto legati, comprensibilmente, al passato e alla terra che si è lasciata alle spalle. Si potrebbe inserire nel piccolo gruppo di autori e autrici provenienti dalle ex-colonie italiane che hanno deciso di scrivere in italiano anche per mostrare ai lettori italiani che la storia di questi due paesi ha molti tratti in comune, più di quanto la memoria e consapevolezza collettive lascino intravedere.
La forma breve del racconto permette all'autrice di aprire degli squarci sull'Italia vista dai somali e sulla Somalia di ieri e di oggi.
Uno degli aspetti che attraversa i dodici racconti sta proprio nei continui riferimenti alla Somalia e alla migrazione in Italia, spesso accompagnati dal dolore non solo dell'abbandono, ma anche e soprattutto all'amarezza per la disintegrazione di quella terra, ancora oggi ferita e divisa da logiche di guerra. Su quest'ultimo punto sono numerosi i racconti che fanno riferimento alle diatribe tra i clan che alcune voci narranti condannano, ritenendole inspiegabili:
"Non posso accettare questa propaganda clanica. Come si fa a credere davvero che un gruppo di persone che non hanno niente in comune, se non la discendenza da uno stesso presunto lontano avo, siano tutti uguali e buoni? E che in un altro gruppo, che invece discende da un altro lontano avo, solo per questo siano tutti cattivi? Come si fa a giudicare una persona senza prendere in considerazione quello che fa e dice?" (35)
L'autrice non approfondisce il tema del colonialismo, andando in profondità delle ragioni che hanno causato nei decenni l'attuale caos somalo, sebbene vi siano dei riferimenti all'esperienza coloniale italiana. Kaha Mohamed Aden è una scrittrice e non una storica e dunque sarebbe iniquo imputarle una qualche carenza da quest'ultimo punto di vista, sebbene talvolta l'indignazione e la sofferenza che emerge dai testi per la situazione attuale della Somalia si rivolga contro le lotte tra clan che sembrano scoppiare all'improvviso, dal nulla.
Il pregio dei racconti resta in ogni caso nella volontà di sensibilizzare e avvicinare i lettori a un paese molto meno lontano di quello che sembri e con cui i rapporti sono stati stretti per decenni. E l'ironia, un'altra nota tipica della scrittura di Kaha Mohamed Aden cha fa sorridere su questioni e temi estremamente seri. Un piccolo esempio, indicativo della portata critica attribuita all'ironia, scaturisce da un riferimento alla quotidianità e consente al lettore di riflettere su una questione, centrale per tutti gli immigrati:"Eh già, ieri sera era una di quelle sere che in ogni angolo del paese tutti in accordo cambiano l'ora. L'ora legale! Avrei voluto chiedere alla signora quale necessità diabolica ha portato a distinguere anche le ore, oltre ai viandanti, in legali e illegali" (71)
Da un episodio banale scaturisce un riferimento preciso alla condizione di difficoltà che molti immigrati vivono, un vero e proprio incubo legato al conseguimento o mantenimento di un permesso di soggiorno.
Un ultimo riferimento che ricorda un'altra situazione molto tipica tra gli immigrati: l'italianizzazione del nome. Il racconto "Nadia" esprime chiaramente questo aspetto, più significativo di quanto sembri. Il nome è indicativo e rappresentativo dell'identità di ciascuno e la sua normalizzazione è simbolicamente un atto irrispettoso e, se vogliamo usare un termine un po' forte, dal sapore colonialista.
Nadia, che fa la colf in una casa di italiani, diventa Nadifa quando rivede i suoi compaesani tra i quali respira un po' di aria di famiglia e placa i morsi della nostalgia. Ci ricorda la sofferenza del non venire mai chiamato per nome del personaggio del racconto di Christiana de Caldas Brito, "L'equilibrista" e la normalizzazione del nome di Sylvinha, in un altro racconto della scrittrice brasiliiana, esemplificativo sin dal titolo: "La triste storia di Sylvinha con la Ypsilon", che nel corso della sua vicenda perderà quella Y, una consonante che non esiste nell'alfabeto della maggioranza.
I racconti di Kaha Mohamed Aden danno voce a donne (soprattutto) e uomini della diaspora somala, accendendo i riflettori su situazioni che altrimenti andrebbero velocemente archiviate nella memoria collettiva nazionale.

Autore della recensione: 
Silvia Camilotti