Tu sei qui

Timira. Romanzo meticcio

Editore: 
Einaudi
Luogo di edizione: 
Torino
Anno: 
2012

Recensione: 

Il romanzo di Wu Ming 2 e Antar Mohamed è forse il primo, riuscito tentativo a quattro mani di romanzo che risponde, nell'accezione del writing back teorizzato da Ashcroft in quel volume-pietra miliare per gli studi postcoloniali The Empire Writes back, a un immaginario ancora molto intriso di pregiudizi nei confronti dell'altro da sé per eccellenza, il nero, e di ignoranza sul tema della storia coloniale italiana.
Il corposo romanzo della coppia, che avrebbe potuto essere un trio, se Isabella Marincola - Timira in Somalia - non fosse mancata prima dell'uscita del testo, deve la sua originalità all'esperienza d'eccezione di Isabella, che forse fantasia di scrittore non avrebbe potuto forgiare così...
Isabella è nata nel 1925, in Somalia, dall'unione di un italiano, Giuseppe Marincola e una donna somala, Ascherò Assan. A differenza di molti altri italiani, Giuseppe riconoscerà entrambi i figli avuti, Isabella e Giorgio, portandoli in Italia per farli crescere con la moglie e l'altra sua figlia e dando loro la cittadinanza italiana.
La storia di Isabella nasce dalle registrazioni che lei ha fatto della sua vita a suo figlio, Antar Mohamed e a Wu Ming 2, da una ampia documentazione storica (la sezione "Titoli di coda" testimonia il grande lavoro di ricerca effettuato), dalle pagine del suo diario scritto nel gennaio-febbraio 1991. Le pagine del romanzo raccolgono anche alcune foto che ritraggono Isabella in differenti momenti della sua vita, dall'infanzia sino alla vecchiaia, e contribuiscono a rendere ancora più viva e reale, se mai ce ne fosse bisogno, una figura per molti versi straordinaria. Quando scrivo che forse la penna di uno scrittore non avrebbe potuto creare un personaggio così, è perché il carattere di questa donna, la prontezza di spirito, la determinazione e le situazioni spesso paradossali che vive rendono la sua esperienza eccezionale. L'infanzia in Italia è segnata da un tormentatissimo rapporto con la matrigna, che non accetta questa bambina che nel colore della pelle porta una prova inconfutabile del tradimento del marito.
Isabella ha un fratello, che adora, che però non la coinvolge in quelli che sono i suoi progetti e aspirazioni: Giorgio Marincola entrerà nelle file partigiane e in nome di quei valori perderà la vita nel 1945 in val di Fiemme, durante l'ultima strage nazista compiuta su territorio italiano. Con la morte prematura di Giorgio, Isabella rimane sola. La situazione in casa è sempre più tesa, al punto che decide di andarsene, cercando di realizzare le sue velleità di attrice a Roma. La mondina nera che compare in Riso amaro, di cui è riportata una foto nel romanzo, è lei; e carichi di furbesca simpatia sono il suo sorriso e il suo sguardo, in un'altra immagine con Alberto Sordi.
Non ci dilunghiamo nel raccontare una vita anche piena di contraddizioni, interne e imposte: Isabella, con il secondo marito che fa il giornalista, tornerà in Somalia, conoscerà sua madre ma la distanza pare incolmabile, anche a causa dell'assenza di una lingua comune. In Somalia decide comunque di restare, dove si risposa con l'uomo che diverrà padre del suo unico figlio. La storia di Isabella ritorna ad essere italiana negli anni Novanta, quando in Somalia esplode il conflitto e i cittadini italiani sono rimpatriati. E qui ricominciano, o continuano, i guai. Una italiana nera non rientra in alcuna categoria e ancora una volta deve fare leva sull'arte di arrangiarsi, nonostante gli anni e gli acciacchi. Il figlio, Antar, già in Italia, non è nella condizione più adatta per rappresentare un rifugio sicuro, tutt'altro, visto anche il complicato rapporto con la madre, dal carattere non certo facile.
Isabella ha una identità che esce dagli schemi, burocratici e culturali, dell'Italia degli anni Novanta, ma forse anche di quella degli anni successivi; la sua esperienza di italiana nera lo dimostra, dalle discriminazioni nelle relazioni personali e lavorative, ai luoghi comuni che le vengono rovesciati addosso dai vari uomini che ci provano con lei e che vedono nella sua pelle nera garanzia di chissà quali performances.
Non a caso, il sottotitolo del testo è Romanzo meticcio, che bene esprime la condizione della protagonista. Ma non c'è solo questo, in Timira. C'è anche l'oblio delle istituzioni e della collettività italiane, a cui occorre spiegare che la Somalia non è un'isola dei Caraibi (titolo del volume del somalo Mohamed Aden) e che i rapporti tra il Belpaese e la sua ex colonia sono tutt'altro che terminati, con la fine del colonialismo. E poi c'è il punto di vista. Questione dilemmatica, come ben scrive Wu Ming 2 quando si chiede quanto legittimo sia parlare dell'"altro":
"Scrivere insieme, cinquanta e cinquanta, non è garanzia di nulla, e anzi può diventare lo schermo dietro il quale nascondere ulteriori soprusi, con l'aggravante della buona volontà. Non basta sedersi a tavola insieme per potersi chiamare commensali. Il Colonialismo con la C maiuscola è uscito dalla porta della Storia solo per rientrare dalla finestra mascherato di carta velina. Il piccolo colonialista occupa in pianta stabile i crani occidentali. Pensare di averlo sbattuto fuori è il modo migliore per farlo prosperare. Se vogliamo metterlo all'angolo e schiacciargli la testa, dobbiamo stare in guardia ogni minuto. A me sono bastati due o tre ragionamenti contorti, per fargli alzare la cresta e guadagnare spazio. Allora ho cominciato a chiedermi se sia possibile, per uno che di mestiere scrive e racconta storie, porgere la tastiera a chi non l'ha mai usata prima e aiutarlo a mettere in romanzo la sua vita, senza però confiscarla con le metafore e gli arnesi che ha imparato a usare. Verrebbe da dire che l'unico modo per non essere colonialisti è quello di non sbarcare nemmeno, nella terra dell'altro, di non immischiarsi nei suoi affari: ma da qui a sostenere che ognuno deve stare a casa propria, il passo è breve, ed è un passo che la mia gamba rifiuta" (345).
Mi pare che Wu Ming 2 sia riuscito a sciogliere questo nodo, trovando una ricetta che rendesse davvero tale scrittura esito di un lavoro collettivo, senza sostituirsi né prevaricare Isabella, creando lo spazio perché trovasse voce. Il punto di vista è inconfutabilmente quello di Isabella, oggetto e soggetto della narrazione, per la quale la penna dello scrittore ha funzionato da trampolino per portare alla collettività una storia che non poteva rimanere chiusa in un cassetto.

Autore della recensione: 
Silvia Camilotti