Adrián Bravi sperimenta, con Adelaida, un genere inedito nel suo percorso di scrittore, raccontando la biografia di una donna d'eccezione che ha incrociato il suo destino con quello dell'autore. Tuttavia "biografia" è un termine riduttivo per definire questo testo, perché raccoglie molto di più di una vita di una persona. Infatti, l'autore e Adelaida hanno in comune l'Argentina, poiché lei è figlia del pittore Lorenzo Gigli che in quella terra fuggì durante il fascismo con la famiglia, quando aveva 4 anni.
Una scelta coraggiosa, quella di ripubblicare a sessant’anni di distanza il romanzo di Emanuelli. E' ambientato a Mogadiscio negli anni Cinquanta, anni in cui gli ex colonizzatori italiani tornavano in Somalia per “insegnare la democrazia”, anni dell’amministrazione fiduciaria. Questo clima non è molto diverso da quello di qualche tempo prima, in quanto permangono, in forme solo talvolta più subdole e meno esplicite, violenze, razzismo e abusi.
Un romanzo autobiografico che scava nelle radici della famiglia dell'autore e che permette non solo a chi scrive di affrontare la storia piena di omissioni della sua famiglia, ma che assume valenza collettiva poiché a partire da una storia individuale si restituisce un altro pezzetto della storia nazionale che si confronta con un tema ancora rimosso o edulcorato, quello coloniale. L'autore risale le tre generazioni che lo hanno preceduto, quando alla fine del XIX secolo il bisnonno salpa in cerca di fortuna per il continente africano, e precisamente nella colonia eritrea.
Siamo in un’innominata città inglese, uguale a molte altre in Europa, ai cui margini vive una comunità pachistana. Il romanzo si apre con la scomparsa di due amanti, Chanda e Jugnu e ben presto la polizia decide di arrestare i due fratelli di Chanda, indignati dalla loro relazione adulterina. La trama si svolge attorno a questa indagine e apre un mondo al tempo stesso vicinissimo a noi e assolutamente ignoto e inimmaginabile. Kaukab, cognata di Jugnu, vive da più di quarant’anni in Inghilterra, non parla la lingua e cerca di avere a che fare il meno possibile con i bianchi.
La protagonista di questa storia si sposta continuamente da un luogo all'altro, vivendo tra alberghi di ogni tipo e roulotte; è figlia di un clown e di un'artista la cui specialità è farsi appendere per i capelli in alto nel tendone del circo. Ha sempre paura che alla madre succeda un incidente e la sorella la distrae raccontandole storie da incubo, quella per esempio che dà il titolo al romanzo e che appartiene alla tradizione romena. La famiglia infatti è scappata dalla Romania di Ceausescu, alla ricerca di una vita migliore, di un luogo in cui fermarsi, di una casa, un lavoro stabile.
Un ragazzo deve lasciare la propria casa e cercarne una nuova. Parte da solo, su una barca a remi, e porta con sé: un libro, una bottiglia, una coperta e una tazzina con dentro un po’ di terra del suo paese. Il viaggio a volte è sereno, altre tempestoso, ma finalmente il giovane raggiunge un luogo dove costruirsi un futuro. E nella tazzina, intanto, è germogliata la vita… Una metafora potente e delicata al tempo stesso del viaggio alla ricerca di un proprio posto nel mondo e del passaggio all’età adulta.
''Un giorno un nome incominciò un viaggio. Era un nome di tante lettere e suonava dolce...''. Il nome evoca terre lontane, altopiani dorati, che possono portare dolore, tanto da convincere i suoi abitanti ad abbandonarli, in cerca di luoghi più fortunati. E il ''nome'' si mette in viaggio. E' la storia di una bambina, ma è anche la storia di tante vite che sbarcano sulle nostre e su altre coste. Con toni dolci gli autori raccontano una storia crudele, dove sofferenza, ingiustizia e indifferenza sono padrone dei destini degli uomini. Perché il viaggio dà speranza...
Presentazione tratta dal blog Galline volanti: "Non sono molti gli albi illustrati che, a mio avviso, riescono a raccontare storie di migrazioni con rispetto, dignità, ma, soprattutto, senza retorica. L’opera prima di Francesca Sanna, si intuisce, è il frutto, oltre che di una sensibilità personale, di una ricerca sul campo dettata dalla curiosità verso racconti di persone in fuga (ce lo spiega lei nella nota dell’autore finale). Ma ciò non sarebbe sufficiente.
Curato da Igiaba Scego e UNHCR, in questo libro dodici autori e dodici illustratori hanno dato vita a altrettanti racconti che intrecciano le storie vere dei rifugiati di oggi con quelle dei rifugiati del passato. Vite parallele accomunate da un sogno, una passione, un talento e il coraggio di metterli al servizio degli altri. Pittori, musicisti, atleti, cantanti, poeti, registi, fotografi, scrittori (e supereroi), che ieri come oggi inseguono la semplice quanto folle idea di rendere il mondo più bello, perché diverso.
Nell’agosto 2016 la giornalista Martina Castigliani è partita alla volta della Grecia per lavorare nei centri di accoglienza per migranti, insieme ad altri volontari provenienti da tutto il mondo. La realtà che si è trovata di fronte non poteva non essere raccontata. Questa raccolta di storie rappresenta una testimonianza che intende restituire le vicende di uomini e donne che cercavano la libertà e sono diventati fantasmi a causa dell’indifferenza delle istituzioni e di parte dell’opinione pubblica.