Come preannuncia già il titolo, è un lungo discorso, sotto forma di lettera ad un amico e alla fine al figlio mulatto, sulla situazione di un immigrato africano in Italia, sul colonialismo ed il razzismo, sui motivi per cui è partito e ora costretto a restare in un paese che non lo vede come persona. Le riflessioni dell’autore vanno dal razzismo tra italiani del nord e del sud, al ricordo dell’isola degli schiavi - la Gorèe del Senegal da cui proviene - all’orgoglio per certi aspetti della sua cultura di origine (il rispetto dei vecchi, l’accoglienza degli ospiti) e il rifiuto per altri (il modo in cui vengono trattate le donne). Ad una società divisa dal muro delle discriminazioni chiede di sostituire una società di convivenza. Per le tante sofferenze inflitte agli africani prima con lo schiavismo e la colonizzazione, ora con la vita da immigrati, non chiede «il risarcimento, ma il rispetto».
DONNE: l'autore delinea la figura della donna nella tradizione senegalese, rifiuta la poligamia ed auspica che le donne lottino per i loro diritti, p. 36 ss; p. 64 ss DIFFERENZE: tra le culture in relazione al modo in cui vengono trattati gli anziani (p. 18) e gli ospiti (p. 31); la saggezza del nonno viene espressa nei proverbi tradizionali, p. 32