Si tratta di un trimestrale, in Italia edito dall'associazione omonima che vanta nomi prestigiosi della cultura nazionale, e che esce anche a Madrid, Berlino, Budapest, Copenhagen, Bucarest e Ulan Bator. Il numero 119, del primo trimestre 2014, celebra i trent'anni della rivista perchè l'edizione italiana e francese sono apparse nel 1984 per iniziativa di Antonin Liehm e Federico Coen, il primo all'epoca in esilio a Parigi dopo la Primavera di Praga. Si intitola «30 anni di Cantiere Europa» ed è un'antologia di testi di grandi autori precedentemente apparsi e tutti dedicati al tema quanto mai attuale dell'Europa: «Quanto è difficile essere liberi? Quanto è difficile essere europei?» Il Muro di Berlino nelle parole di Peter Schneider del 1985, «È chiaro che, fino a quando la frontiera sovietico-americana passerà lungo il Muro, in Europa non ci sarà mai una pace stabile»; una pace in cui non si tratta «di confermare se stessi nella propria identità, ma di mettere sempre in questione questa stessa identità, la sua libertà illimitata e la sua potenza (Emmanuel Levinas, 1986); un'Europa come patria, in cui ogni guerra sarebbe una guerra civile, per Harry Mulisch (1988), nato in una famiglia internazionale come le famiglie reali; una meravigliosa Europa senza frontiere: «Chi non ha mai vissuto sotto una dittatura non conosce quel senso opprimente che un cittadino dell'Europa dell'Est provava ad ogni passo di frontiera.» (Istvàn Eörsi, 1991). È un'Europa delle diversità, molteplice che emerge dalle parole di Hans Magnus Enzensberger e di Ágnes Heller, una comunità desiderata, criticata, spronata, anche nel ricordo di grandi momenti di illusione e di forza collettiva come il Marzo polacco e la Primavera di Praga (Adam Michnik, 1993). Molte altre voci importanti sono raccolte in queste pagine: delineano un'idea di Europa che deve ancora liberarsi dagli stereotipi della Guerra fredda per arrivare a una narrazione comune. «L'Europa in senso spirituale richiede invece che si stabiliscano legami tra il passato come fondamento della memoria collettiva e il futuro come proiezione dei sogni comuni.» (Aleš Debeljak, 2002)
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