L’ultimo romanzo di Adriàn Bravi si colloca nel segno dei precedenti, dimostrando, semmai ce ne fosse ancora bisogno, una maturità letteraria oramai compiuta. Riecheggiano alcuni dei suoi romanzi pregressi in una serie di scelte tematiche e formali: l’acqua nella forma del fiume (L’inondazione), l’elemento surreale (Il levitatore) la riflessione metalinguistica (L’idioma di Casilda Moreria ma anche, per uscire dal genere del romanzo, La gelosia delle lingue).
Riportiamo alcune delle parole della traduttrice, Anna Nadotti, che bene illustrano l'importanza della lettura di questo romanzo, che ritorna sui legami coloniali tra Italia e Etiopia e sul loro retaggio.
Dozzini ritorna su temi a lui cari, che intrecciano società italiana e parlano, necessariamente, anche di migrazioni, in un contesto di provincia.
Il viaggio di Nsaku Ne Vunda ha inizio nel 1583 in una notte di tempesta, nel piccolo villaggio di Boko, «una contrada di misteri e magia, dove i morti a volte si aggiravano tra i vivi in una promiscuità mistica che sfidava le leggi della ragione». Cresciuto nel rispetto degli antenati e delle tradizioni del suo popolo, studia alla scuola dei missionari nella capitale del regno del Congo, dove viene ordinato prete con il nome di don Antonio Manuel.
Africana è uno strumento per capire quanto l'Africa non vada coniugata al singolare, ma al plurale. Uno strumento di difesa contro gli stereotipi e contro tutte quelle visioni che ancora vogliono descrivere questo enorme continente, così vario al suo interno, come una lunga distesa di capanne. Africana aprirà le porte al lettore, sia a quelli che già sono appassionati delle letterature del continente sia a quelli completamente a digiuno, delle tante Afriche dentro l'Africa. Un continente moderno, giovane e creativo come pochi.
Dal fondo del cassetto disordinato di una scrivania scoperta in casa, a Roma, riemergono alcuni oggetti dimenticati dai vecchi proprietari: francobolli, un dizionario greco-italiano, qualche bottone, cartoline mai spedite, la foto di tre donne in piedi davanti a una finestra. C’è anche un quaderno fucsia, con il nome «Nerina» scritto a mano sulla copertina. Chi è Nerina? Senza cognome, come un poeta classico o medievale, come un artista del Rinascimento, la donna che, ci assicura Jhumpa Lahiri, ha scritto i versi raccolti in questo libro, sfugge alla storia e alla geografia.
A quattordici anni, seduto su un cuscino, davanti a un minuscolo sarcofago (il «tutankamino») col dito di suo padre dentro, Anteo Aldobrandi ha cominciato a levitare. Da allora non ha mai cessato di sperimentare questa misteriosa forza cosmica che lo tira su, anche solo di poco, perché l’importante non è quanto uno riesca a sollevarsi da terra, ma riuscire a staccarsi e mantenere una propria stabilità. Finché, ormai quarantenne, un postino gli consegna una busta verde pastello con dentro una denuncia.
Tratto dal blog Mangialibri: Una stazione simile a tante altre, una donna che saluta. Qualcuno su un treno che probabilmente è già partito. “Uno ti dice buon viaggio quando ti vede andar via […] Ma quand’è che un viaggio è buono?”. Il viaggiatore sembra aver tutto: una valigia, una sciarpa, un ombrello e un ampio cappotto. La meta non è importante, a volte dove stai andando lo scopri solo strada facendo. Anche i compagni di viaggio possono essere tanti o nessuno, l’importante è stare bene.
Bye Bye Babylon è la storia di una città – la Beirut massacrata dalla guerra civile iniziata nel 1975 – e un racconto autobiografico: quello della vita dell’autrice, Lamia Ziadé, che mescola i suoi ricordi di bambina alle testimonianze del conflitto che ha tenuto in ostaggio il Libano per ben quindici anni.