Christiana de Caldas Brito dà voce, in questo romanzo forse più spiccatamente che in altri, alla sua doppia anima, di scrittrice e psicoterapeuta, in un percorso di progressiva scoperta del sé da parte del suo personaggio principale, Ecìla. Già dal nome, come dal titolo del romanzo, emerge una caratteristica tipica dello stile di de Caldas Brito, ossia l’approccio ludico ed esplorativo nei confronti della lingua italiana. Ecìla è un «nome un po’ esotico che allo specchio risulta essere il rovescio di Alice» (p.17), la mitica bambina che senza paura entra nel Paese delle Meraviglie attraversando appunto uno specchio, soglia che, forse, Ecìla sceglierà metaforicamente di attraversare per ritrovare se stessa, disattendendo le aspettative altrui, soprattutto materne. Anche il titolo del romanzo gioca con la lingua: gli impazienti sono infatti i pazienti-impazienti della protagonista, che, per assecondare i desideri materni, intraprenderà la strada della psicologia.
«Quando parlo di impazienti, mi riferisco alle persone che facevano con me un percorso terapeutico: alcuni, più incapaci degli altri di aspettare, pretendevano da me la frettolosa ricetta di un cambiamento che solo il loro lento lavoro di consapevolezza poteva produrre» (p.55).
Anche Ecìla percorre, progressivamente, la strada della consapevolezza: una metafora di grande intensità che la accompagna è infatti quella del cucito, arte che appartiene a sua madre che ne ha fatto un mestiere. Quest’ultima, tuttavia, non ambisce che la figlia segua il suo esempio, nonostante la passione di Ecìla per quel mestiere. Divenire terapeuta sarà comunque un modo per ricucire le vite perché d’altronde «una sarta e una psicoterapeuta fanno un lavoro simile: ambedue aiutano a confezionare una veste nuova» (p. 49).
Ecìla scoprirà, col tempo, la sua reale ambizione, troverà il coraggio di esprimere e realizzare i suoi desideri, percorrendo una strada che, lentamente, senza impazienza, la porterà a una piena consapevolezza di sé.