L’ultimo romanzo di Adrian Bravi suggerisce una linea di continuità ideale con il saggio che ha scritto precedentemente, in quanto entrambi si focalizzano sulla lingua: ne La gelosia delle lingue Bravi sviluppava una riflessione di natura scientifico-teorica su cosa significa lingua, appartenenza linguistica, migrazione e dunque cambiamento di lingua, a partire da numerosissimi e dotti riferimenti a scrittori, poeti, studiosi che hanno affrontato, e vissuto, questi temi.
L'umorismo è uno strumento molto più potente di quanto siamo abituati a ritenere, dovrebbe avere un ruolo maggiore nella società moderna. Potrebbe non solo farci osservare la realtà da un punto di vista diverso e permetterci di raccontarla a modo suo, ma anche consentirci di intervenire per provare a cambiarla. Se, dunque, in un periodo storico in cui emergono con una certa urgenza temi quali la migrazione, l'immigrazione, l'accoglienza, l'inclusione trovassimo nell'umorismo e nella comicità un elemento in grado di unirci?
Sgomento ed esuberanza, radicamento ed estraneità sono i temi che attraversano questo romanzo, scritto senza la mediazione di un traduttore. La città in cui abita, e che la incanta, è lo sfondo vivo delle sue giornate, quasi un interlocutore privilegiato: i marciapiedi intorno a casa, i giardini, i ponti, le piazze, le strade, i negozi, i bar, la piscina che la accoglie e le stazioni che ogni tanto la portano più lontano, a trovare la madre, immersa in una solitudine senza rimedio dopo la morte precoce del padre.
Dawla in arabo significa Stato ed è uno dei modi in cui gli affiliati dello Stato islamico chiamano la propria organizzazione. Gabriele Del Grande è andato a incontrarli in un avventuroso viaggio partito nel Kurdistan iracheno e terminato con il suo arresto in Turchia. Questo libro è il racconto delle loro storie intrecciate alla storia più grande dell'ascesa e della caduta dello Stato islamico.
Romanzo ambientato in in Sudtirolo, terra di confini e di lacerazioni: un posto in cui nemmeno la lingua che hai imparato da bambino è qualcosa che ti appartiene fino in fondo. Trina è una giovane madre che alla ferita della collettività somma la propria: invoca di continuo il nome della figlia, scomparsa senza lasciare traccia durante gli anni del fascismo. Da allora non ha mai smesso di aspettarla, di scriverle nella speranza che le parole gliela possano restituire.
Dopo essere fuggito dal proprio Paese d'origine, la Nigeria, e aver trascorso tre mesi in una lontana terra straniera, il famoso musicista Taduno riceve una lettera da Lela, la donna che ama. Nessuno, nemmeno Lela, sa dove lui viva attualmente, e il fatto che quella lettera sia riuscita a raggiungerlo risulta quindi inspiegabile. Lela gli fa sapere che nel corso della sua assenza il loro Paese è cambiato, lo implora di restare dov'è e rifarsi una vita.
Il 1° agosto 1937 una sfilata piena di bandiere rosse attraversa Parigi. È il corteo funebre per Gerda Taro, la prima fotografa caduta su un campo di battaglia. Proprio quel giorno avrebbe compiuto ventisette anni. Robert Capa, in prima fila, è distrutto: erano stati felici insieme, lui le aveva insegnato a usare la Leica e poi erano partiti tutti e due per la Guerra di Spagna.
Aké è la storia di un'infanzia, la storia di un'educazione e di molteplici realtà che si incrociano nella formazione di un giovane uomo: romanzo autobiografico, o storia di un'iniziazione alla vita, fonde il sostrato mitico della realtà africana con la coscienza letteraria di un autore profondamente immerso nella cultura europea novecentesca.
Trentaquattro ritratti di donne, più o meno popolari, che hanno a loro modo segnato la storia, nei contesti spaziali e temporali, nonchè culturali, più diversi. L'autore sceglie di fare loro omaggio raccontandole, dando loro voce, rompendo silenzi che durano talvolta secoli e rendendo giustizia al coraggio, all'eccentricità, alle passioni che hanno caratterizzato le vite delle protagoniste di questo libro. Un buon punto di partenza per approfondire biografie ed esperienze altrimenti destinate all'oblio.
È un libro breve, 87 pagine con l'indice, un punto di vista poco importante, quello di un bambino, un angolo marginale di una città, Kigali, che non si saprebbe indicare sulla carta, persa in un paese, il Rwanda, di cui conosciamo il nome solo per i massacri che vi sono avvenuti, in un continente immenso e differenziato che nominiamo con ignoranza al singolare, l'Africa. In queste poche pagine l'autore ci dà molto, ricrea situazioni e ambiente a partire dal piccolo Clement e dai suoi rapporti con la zia e con il vecchio Emanuel.