"È sempre l’oceano, ovviamente, ma si vede che qualcosa è cambiato, il suo colore è diverso. Le onde, basse e larghe, continuano a dondolare delicatamente, c’è ancora soltanto oceano, ma il blu si macchia a poco a poco di giallo. Però non si forma il verde, contrariamente al ricordo che ci ha lasciato la teoria dei colori, ma qualcosa di torbido. L’azzurro luminoso è scomparso. L’increspatura turchese sotto il sole di mezzogiorno è sparita. Il cobalto insondabile da dove sorgeva il sole, l’oltremare del crepuscolo, il grigio piombo della notte: finiti.
D’ora in avanti è tutto un brodo.
Un brodo giallastro, ocra, ruggine. Ti trovi ancora a centinaia di miglia dalla costa, ma già lo sai: qui comincia la terra. Il fiume Congo si getta nell’Oceano Atlantico con una forza tale da cambiare il colore dell’acqua per centinaia di chilometri."
"Congo" di David Van Reybrouck comincia con questa introduzione che colpisce l'immaginazione di tutti i lettori e dà la maestosità del territorio che prende il nome da questo fiume. Otto volte più grande dell'Italia, la Repubblica Democratica del Congo abbonda di risorse minerarie, forestali e idriche, ha alle spalle una storia complessa ed un presente ancora difficile.
Si giustifica anche così l'imponenza del volume che ci troviamo di fronte: sono 600 pagine di testo, per ripercorrere le vicende dall'epoca precoloniale fino ai nostri giorni, più un altro centinaio per indicare le fonti, annotare, indicare bibliografia e nomi.
Van Reybrouck si sente legato a questo paese già per il fatto che il padre vi aveva lavorato come ingegnere ferroviario. Dopo un primo viaggio in Congo, nel 2003, si è dedicato per più di sei anni a questo libro, utilizzando vari strumenti che gli permettevano di capire e raccontare meglio il paese: storiografia, giornalismo e letteratura. I suoi viaggi si sono succeduti nel tempo e hanno permesso la realizzazione di 500 interviste a congolesi di tutte le età e gruppi sociali. Attraverso la loro testimonianza, verificata e controverificata, lo scrittore espone le vicende politiche come i costumi della popolazione, la musica e le abitudini alimentari.
"Non volevo scrivere una storia «bianca», ma neppure quella dell’élite nera del paese. Volevo raccontare la storia sociale del Congo, cogliere il modo in cui la gente normale aveva vissuto ogni singola trasformazione."
È questa attenzione alle persone, alla loro vita quotidiana, che dà un timbro particolare al libro e rende impossibile abbandonarlo. Non si tratta solo delle persone che hanno rivestito un ruolo importante nella storia del paese, i grandi mercanti di avorio, i razziatori che rivendono milioni di congolesi come schiavi per l'America, l'esploratore Stanley o re Leopoldo II del Belgio, fino ai leader della decolonizzazione o al presidente Joseph Kabila. Sono anche persone sconosciute, il maggior numero possibile di voci congolesi, che riescono così a sfaccettare il racconto nella sua complessità, dal testimone incredibilmente vecchio fino ai giovani emigrati in Cina.
Si tratta in ogni caso di una lettura impegnativa: i fatti narrati sono molti, spesso tragici, anche fossero già noti vanno risistemati secondo altri punti di vista. Alcune figure storiche richiedono una lettura diversa da quella corrente, ad esempio la figura di Patrice Lumumba non è quella a suo tempo narrata dai media occidentali. Gli spazi in cui si svolgono le vicende sono continuamente da ricontrollare, anche per i nomi delle grandi città, cambiate nel tempo, come più volte è cambiato il nome della nazione. Allo stesso modo le zone di stanziamento originario delle diverse popolazioni di questo enorme paese rendono indispensabile l'uso delle cartine geografiche, fortunatamente incluse. Come ci racconta David Van Reybrouck la repubblica democratica del Congo è nata dall'ambizione del re di un piccolissimo stato e i suoi confini sono del tutto arbitrari, decisi da re Lepoldo del Belgio e da Stanley, poi accettati da Bismarck.
"Stanley spiegò la cartina, molto provvisoria, che aveva disegnato dopo la sua traversata dell'Africa, un foglio in gran parte bianco che riproduceva dettagliatamente il fiume Congo con le sue centinaia di villaggi rivieraschi. Fu su quel foglio di carta che il sovrano, insieme a Stanley, tracciò dei segni a matita, con un'arbitrarietà insuperabile.Non c'era un'entità naturale, nè una necessità storica o una concezione metafisica secondo la quale gli abitanti di questa regione fossero destinati a diventare compatrioti. C'erano soltanto due uomini bianchi, uno con i baffi e l'altro con la barba, che in un pomeriggio estivo, da qualche parte sulla costa del Mare del Nord, con una matita rossa univano alcune linee su un grande foglio di carta."
Non bastano già queste poche righe per definire, senza invettive, il colonialismo?
David Van Reybrouck, con una scrittura vivace e chiara, racconta un grande paese, troppo importante nello scenario mondiale per non approfondirne la conoscenza. Un testo accurato che ha ben meritato il suo successo, un libro da leggere, da conoscere, da aver caro.
Si possono leggere alcune pagine in http://www.feltrinellieditore.it/opera/opera/congo/
Introduzione
Una porcheria immonda. Il Congo sotto Leopoldo II 1885-1908
Lumumba
Mobutu
2002-2006
RAZZISMO
I banyamulenge insultati cominciarono a sentirsi realmente banyamulenge. Approfondirono la loro storia, si ricordarono che in effetti erano diversi dagli altri, che le loro radici erano in Ruanda e che in realtà, a ben riflettere, sì, non erano mai stati i benvenuti nello Zaire. Le comunità si formano non appena si sentono minacciate. L'identificazione etnica divenne più importante dell'identificazione nazionale.
pag 444
CONFLITTI
La Grande guerra africana o Seconda guerra del Congo, iniziata il 2 agosto 1998, ufficialmente conclusa nel giugno 2003, continua fino al 2010 e oltre. Coinvolge nove paesi africani e provoca dai 3 ai 5 milioni di morti senza considerare i morti civili per conseguenze indirette.
"In Congo non fu facile trovare il campo dei "buoni". Chi osservava il conflitto da vicino si rendeva conto che tutte le fazioni coinvolte non avevano la coscienza a posto. Le lamentele si rivelarono spesso giustificate, i metodi scelti invece discutibili. Nessuna delle parti sembrava in grado di uscire dalla linea del fuoco, in senso sia letterale sia figurato, per prendere coscienza della legittimità del punto di vista altrui e cercare insieme un compromesso. Era chiedere decisamente troppo a un paese poverissimo, con una popolazione giovane e non istruita che aveva conosciuto solamente l'oscuro dispotismo di Mobutu. I figli della dittatura di rado sono democratici esemplari. Si sviluppò uno di quei conflitti in cui ciascuno trovava l'altro sempre un po' più colpevole, cosa che autorizzò le rappresaglie e innescò una spirale senza fine di violenza. I media occidentali staccarono la spina."
pag. 472 sg