Un volume appassionato, ma al contempo lucido nel descrivere le dinamiche di un conflitto su cui l’autore cerca di fare luce, non solo per amor del vero e della giustizia, ma perché la Siria è parte di lui. Uno dei temi del libro è infatti l’identità, su cui l’autore riflette in quanto figlio di un siriano musulmano e di una italiana cristiana e che impara ad accettare per quello che è, un miscuglio in cui è possibile e necessario trovare un sano equilibrio. E quello che auspica per il suo paese (interessante che usi il noi sia parlando di siriani che di europei, in quanto Hamadi si sente entrambi, come è normale che sia) è equilibro, riconciliazione, pace, giustizia, perché il caso siriano brilla per l’indifferenza della comunità internazionale dinanzi a una tragedia dalla dimensione enormi, nonché per la scarsa informazione che circola ed è circolata intorno ad esso. Un altro tema del volume è infatti la ricostruzione delle cause del conflitto, degli attori in scena, dello smascheramento degli stati e delle istituzioni conniventi, della strumentalizzazione dell’Isis e dello scontro religioso che funziona da maschera per altri, più sostanziali, motivi di conflitto. Afferma l'autore: "Scrivere, come fa qualcuno, che lo scontro in Medio Oriente nasce da un dissidio fra sunniti e sciiti per motivazioni di natura religiosa è sbagliato, perché cadiamo nella trappola che pretende di liquidare la complessità degli avvenimenti con motivazioni esclusivamente religiose. Lo scontro intenso draq sunnismo e sciismo nel Medio Oriente non è causato da divergenze religiose […] ma da motivi geopolitici". (p.121). Questo è solo uno dei passaggi che indica la volontà demistificatrice di queste pagine, che in molti dovrebbero leggere per sfatare stereotipi, produrre empatia e responsabilizzarsi. Non risparmia nulla, Hamadi, (figlio di un uomo che ha vissuto l’esperienza della tortura) nemmeno al regime di Assad, colpevole di aver soffocato nel sangue richieste legittime di libertà e diritti. L’autore vive il dissidio di chi, appartenendo a quel popolo annientato, lo vede da lontano e da una posizione privilegiata: emerge in alcuni passaggi il senso di impotenza, che il suo attivismo e la sua scrittura cercano di placare Le pagine finali del volume, che non è attraversato solo da toni di denuncia, ma vede anche proposte, speranze, richiamo alla responsabilità individuale e collettiva, testimoniano proprio questa volontà costruttiva: la riconciliazione è la strada da intraprendere, scongiurando la confessionalizzazione della Siria (di cui si sono poste le basi), individuando attori locali con cui dialogare e "ricostruendo la mappa postbellica di chi gestisce il potere" 128. Un altro pericolo da scongiurare è il seguente: "La Siria non deve diventare l’industria della disgrazia" 133 perché vi sono ong che hanno agito in questa direzione, non guardando ai siriani ma ai propri interessi. Una narrazione che dà volto e dignità alla Siria e a un popolo che vuole l’emancipazione dalla dittatura e dal fondamentalismo.