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Occhio a pinocchio

Editore: 
Cosmo Iannone
Luogo di edizione: 
Isernia
Anno: 
2006

Recensione: 

Raccontare da un altro punto di vista, ricorrendo ad una prospettiva eccentrica, aggettivo che la stessa autrice aveva utilizzato per descrivere se stessa, in un articolo di qualche tempo fa potrebbe essere il fulcro di questo romanzo
Occhio a Pinocchio di Jarmila Očkayová presenta il classico di Collodi da un altro punto di vista, quello, cioè, del protagonista, che narra la storia in prima persona e che, in un certo senso, potremmo definire “portavoce” della scrittrice stessa; infatti, le questioni che questo atipico burattino solleva o sulle quali induce il lettore a riflettere (identità, appartenenza, radici, famiglia - in particolare la figura paterna -) sono presenti in buona parte della produzione dell’autrice.
Pinocchio è tratteggiato in un modo che si discosta molto dalla tradizione letteraria, da cui naturalmente l’autrice non prescinde ma che utilizza come base per spiccare il volo, adattandola alle esigenze della narrazione. Vi è in qualche passo un atteggiamento bonariamente dissacrante, ad esempio nella spiegazione degli starnuti di Mangiafuoco, la cui «causa non era la commozione, come ha scritto Collodi, bensì l’allergia. Qualcosa, in me, faceva scattare in lui un’invincibile avversione alla mia semplice presenza. E a livello fisico quella idiosincrasia si traduceva in un’esagerata reattività delle sue vie respiratorie e in quella sfilza di starnuti. Diciamo che i suoi erano starnuti psicosomatici. E lui ne era ben consapevole, ragione per cui cercò di liquidarmi il più velocemente possibile» (p.49).
Non vi è solo una prospettiva mutata dal punto di vista dei contenuti, della vicenda, ma anche dal punto di vista del linguaggio: Jarmila Očkayová gioca continuamente con le parole, fa fare loro delle vere e proprie acrobazie, voli, piroette, a partire dal titolo; riprende le parole di Collodi, le spezza adattandole al nuovo contesto; un piccolo esempio, non più di un’anticipazione, lo si ritrova nel titolo del romanzo, in cui si utilizzano due termini l’uno contenuto nell’altro. Il romanzo diventa metaromanzo, parla di se stesso, le parole parlano di se stesse, vi è una continua riflessione sul linguaggio che viene sviscerato in alcune delle sue infinite possibilità, parola e concetto che, non a caso, rappresenta uno dei fili rossi che legano questo romanzo.

Autore della recensione: 
Silvia Camilotti