La nota critica di Itala Vivan, che chiude il libro, ricorda che questo è un romanzo del 1985, anche se in Italia arriva di recente, e che è stato scritto dall'autore poco dopo la guerra civile nigeriana scoppiata a causa del petrolio tra il '67 e il '70.Lo si ripropone come un doveroso omaggio alla figura dell'autore, uomo politico ed intellettuale assai noto, impiccato nel 1995 con altri otto imputati dopo un processo farsa voluto dalla dittatura militare, ma soprattutto come un testo di alto valore letterario e sempre attuale per temi.L'incipit, ci ricorda sempre la Vivan, è un omaggio al grande Chinua Achebe e riprende l'inizio de “Il crollo”: “Comunque, all'inizio tutti erano contenti a Dukana. Tutti i nove villaggi danzavano e mangiavano un sacco di mais con le pere snocciolando racconti sotto la luna.”È la storia di un giovane che vive in un villaggio con la madre e si lascia affascinare dalla vita militare per spirito di avventura e per il prestigio legato alla divisa. Finisce coinvolto in una guerra che non capisce, sballottato tra le parti e poco cosciente degli eventi, ma restando sempre fedele a dei valori umani istintivamente intuiti.L'intero libro è una denuncia della guerra. Dall'entusiasmo di diventare un sozasoldato, dal fervore di cacciare il nemico (una specie di Hitla-Hitler) e difendere con le armi la sua donna, il giovane passa a sperimentare le assurdità dei sozacapitani, le paure, le fatiche, i pericoli e lentamente si fa strada in lui il senso e il desiderio della pace, scappa da questa vita per ricercare i suoi 'tesori'.Non è più il ragazzo che gira con orgoglio il villaggio per dire a tutti “domani vado a fare il sozasoldato”, diventa l'uomo in fuga dai militari di ogni tipo, che cammina e cammina, senza cibo, senza acqua; attraversa villaggi vuoti, abbandonati, distrutti, pensando soltanto a sua mamma e alla sua giovane moglie. La sua unica aspirazione è ritornare insieme a loro al villaggio e costruire una casa e viverci insieme.La sua ricerca delle due donne nei campi profughi, letamai di “gente che hanno buttato via come immondizia” consente all'autore di approfondire il tema della corruzione, benché di 'mazzette' e 'pappare' si parli fin dalla prima pagina. Il linguaggio è tagliato su misura del protagonista. Notevoli le invenzioni linguistiche con un “amalgama di pidgin nigeriano, inglese sgrammaticato, e buon inglese, con punte addirittura idiomatiche”. È stato necessario l'intervento non solo di un traduttore esperto della Nigeria, ma anche di uno scrittore come Roberto Piangatelli che riuscisse ad usare un italiano creativamente scorretto ed a rendere il ritmo della narrazione.Solo in questa lingua inventata, con un vocabolario estremamente ridotto, corrispondente alla sua scarsa cultura ed all'altrettanto scarsa capacità di comprensione, Sozaboy può raccontare in prima persona come vive, agisce e non realizza la sua esistenza in una “società dislocata, disorganizzata e discordante.”In questa sua impossibilità di determinarsi, in questo essere preda della volontà degli altri, povera foglia mossa dal vento, eppure sempre persona, profondamente umano, con degli affetti e dei desideri semplici e veri, si rivela la profonda empatia dello scrittore per il suo personaggio.“E stavo pensando a come prima ero stato orgoglioso di andare soldato e di chiamarmi Sozaboy. ma ora, se qualcuno viene a dirmi qualcosa della guerra, o anche del combattimento, io mi metterò soltanto a correre e a correre e correre e correre e correre. Credetemi, sinceramente vostro.”
PS
Assolutamente fuorviante il sottotitolo "Il bambino soldato" e la copertina della nuova edizione che mostra, appunto, un bambino in armi, mingherlino e spaurito. Ignoratela.