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Primo piano

A suon di parole

“Quando un uomo con la pistola incontra un uomo con la biro, quello con la pistola è un uomo morto”. Roberto Benigni

di Loris Genetin*

È ormai da qualche settimana che, grazie al “Gioco degli Specchi”, ho la possibilità di avere un contatto diretto e costante con i ragazzi che si cimentano nell’apprendimento dell’italiano. Inizialmente credevo fermamente nell’importanza di queste attività ma non ero sicuro che avrebbero soddisfatto appieno la mia volontà di aiutare “l’altro”. Si sa, da giovani si cerca sempre d’impegnarsi in cose un po’ più grandi di noi, per sentirsi utili e soddisfatti del proprio operato. Più l’attività è complessa e ambiziosa e più ci attira. In realtà mi sono bastati due pomeriggi trascorsi ad aiutare un paio di ragazzi a fare i compiti per capire che l’insegnamento della lingua veicolare è qualcosa che va oltre al semplice apprendimento di una lingua straniera che semplificherà la vita di chi sarà stato in grado di apprenderla. Durante queste poche ma intense ore pomeridiane si costruisce un rapporto di amicizia, e soprattutto di fiducia, tra chi “insegna” e chi “apprende”. Il mettersi seduti attorno a un tavolo per dedicare il proprio tempo a una persona fino a poco tempo prima sconosciuta permette a chi “apprende” di capire che c’è qualcuno disposto a utilizzare il proprio tempo e le proprie energie per migliorare la sua vita e la sua permanenza in questo paese. A quel punto si instaura uno stupendo rapporto di fiducia che permette ad entrambi di imparare molto: a loro di imparare come si usano le preposizioni e a me di capire e conoscere la loro storia durante la stesura di un tema. Sono momenti particolarmente impegnativi e intensi, perché per quanto possa sembrare semplice insegnare la lingua che parliamo fin da quando siamo bambini, in realtà è molto più complesso di quello che appare.

Non bisogna scordare che la maggior parte dei ragazzi/e che partecipano a queste ore di “lezione” hanno background completamenti diversi dai nostri e hanno vissuto esperienze differenti, il che potrebbe apparentemente allontanarli dalla nostra lingua, in quanto la lingua di un paese è anche espressione della sua storia e della sua cultura. Il concetto fondamentale a questo punto è che non si tratta esclusivamente di “dare”, ma bensì anche di ricevere. È soprattutto a questi livelli che si crea l’interculturalità che spesso rincorriamo come testimonianza di una corretta integrazione. Quello che mi sento di dire dopo qualche settimana di partecipazione a queste attività è che non potrei esserne più soddisfatto. Finalmente mi sento sceso in campo per provare a rendere la vita di questi ragazzi leggerissimamente migliore di quello che era ieri. Il poter esprimersi più correttamente e con sempre minor timidezza so che permetterà a questi ragazzi di comunicare meglio le proprie opinioni, le proprie idee e le proprie richieste. Una corretta comunicazione li aiuterà a integrarsi meglio sul territorio e a instaurare rapporti anche con chi magari li critica, permettendo la nascita di una discussione che si spera sia costruttiva. Nel frattempo io continuerò a combattere questa guerra nei confronti dell’odio a suon di parole e preposizioni.

*Loris Genetin è studente all'università di Trento, frequenta i corsi per la laurea triennale in Studi internazionali, partecipa alla terza edizione del progetto SuXr, Studenti universitari per i rifugiati