Testo scritto nel 1985, ora ripubblicato anche in italiano, che sviluppa temi cari alla nota scrittrice algerina: in primis la condizione femminile, ma anche il rapporto con il francese, lingua del colonizzatore e la resistenza allo stesso messa in atto dalle donne. Un testo policentrico e per certi versi frammentato, che alterna passato e presente algerino, dalla conquista francese nell'estate del 1830 alla lotta di liberazione, mantenendo sempre l'attenzione sul punto di vista delle donne. Il libro è diviso in tre parti, le prime due ambientate ai tempi dell'aggressione francese, la terza divisa a sua volta in cinque movimenti e un finale, basata su interviste a donne che hanno preso parte alla lotta.
Lingua
"Parole torcia che illuminano le mie compagne, le mie complici; da loro mi separano per sempre. E sotto il loro peso, io mi esilio."
La lingua che usa, il francese dei colonizzatori, è per la scrittrice l'esilio, la allontana dalla sua terra e dalle stesse persone a cui dà voce, pag 160, 174 sg ;
provoca una afasia amorosa, pag. 142 e sgg
Quattro sono le lingue per le donne algerine, pag. 198:
"Noi, bambine e ragazze - poco prima che la nostra terra si liberi dal dominio coloniale. Mentre l'uomo può permettersi quattro mogli legittime, noi disponiamo di quattro lingue per esprimere il nostro desiderio prima di viverlo: il francese per la scrittura segreta, l'arabo per i sospiri a Dio trattenuti, il berbero quando immaginiamo di ritrovare le nostre antiche dee materne. La quarta lingua, per tutte, vecchie o giovani, chiuse nell'harem o semiemancipate, è la lingua del corpo che lo sguardo dei vicini, dei cugini vuole rendere cieco e sordo, non potendo più imprigionarlo completamente; il corpo negli stati di trance, nelle danze o nelle grida, negli accessi di speranza o di disperazione, si ribella e cerca, come un analfabeta, la destinazione - quale riva? - del suo messaggio d'amore."