I capitoli di questo libro hanno tutti il nome di persone e di persone racconta il testo, molte, puntigliosamente elencate nelle pagine iniziali come fossero personaggi di un pezzo teatrale. Ma teatro non è: è la vita italiana contemporanea. Se aprite un giornale ci troverete tutti gli elementi di questo libro, ma qui non ci sono fatti di cronaca, ci sono persone e ferite nella carne viva. Non le persone che abitualmente i pezzi di cronaca definiscono in base alla loro appartenenza 'etnica', non 'buoni' e 'cattivi', ma uomini e donne con un nome proprio, propri pensieri e sentimenti.
Saverio, il professore in pensione, incerto sulla svolta da dare alla sua vita; Alijomah, il giovane profugo afghano che incontra tipi di preti e di assistenti sociali degni di stima; Abdulaziz, suo fratello maggiore, preoccupato di raggiungerlo e proteggerlo, ma che incontra ben altra gente e non può salvare nemmeno se stesso. Un capitolo prende nome da Eugenio, il nonno del professore emigrato nell'America degli anni '20, a ribadire il parallelismo emigrazione – immigrazione, altri dedicano attenzione a persone di varie categorie, in particolare investigatori e magistrati, Lara, Michele, Nino, e ancora giornalisti e politici, sempre in una panoramica di diversa umanità che a volte per i suoi difetti chiama al sorriso.
In scena una folla di personaggi che interpretano il maggior numero possibile di atteggiamenti e convinzioni riscontrabili nella società italiana odierna oppure di situazioni di cui si è letto in cronaca. A volte l'autore si dilunga per spiegare le idee cioè il 'ruolo' del suo personaggio e questo toglie ritmo al racconto.
Va considerato però che si tratta del primo romanzo di Antonio Umberto Riccò, nato, sembra, dalla forza dei fatti, per un impulso quasi emotivo, di reazione etica agli avvenimenti, e come italiani non possiamo che essere riconoscenti a chi parla forte e chiaro, senza dimenticare nessun particolare.
Da qui certamente uno sguardo empatico ed una capacità di vedere gli esseri umani al di là delle scarne notizie di stampa che sono troppo spesso malevole, quantomeno incomplete. Significativa da questo punto di vista l'attenzione che lo scrittore dedica ad alcuni sinti e rom coinvolti nella vicenda oppure all'ubriacone del paese.
Sarebbe però limitativo definire questo testo solo come un insieme di pagine animate da impegno civile: il libro si impone per sapienza narrativa ed una capacità di scrittura che tiene legato il lettore alla storia. I personaggi hanno vita, non sono irrigiditi in clichè, coinvolgono, si muovono in un ambiente (specie il lago di Garda) ed in un tessuto di relazioni che entra vividamente a far parte del nostro immaginario.
La lingua è coltivata senza pedanteria, semplice e piena.
Il libro ha un'appendice in un racconto che riprende il tema dei giovani afghani in fuga dalla loro terra e che arrivano fortunosamente fino in Italia, quando arrivano. Omogeneo alle altre pagine come sguardo, 'traduzione' in materiale letterario di un fatto di cronaca, tentativo anche questo di mettersi nei panni degli altri, “La Missione di Tariq” ribadisce nel suo tragico sviluppo il dovere di aprire gli occhi e di vedere l'infelice umanità che ci vive accanto.
Il viaggio nella migrazione:
giovani afghani, spesso minori, tentano a Patrasso di imbarcarsi per l'Italia e di raggiungere la destinazione che si sono prefissati, con esiti tragicamente diversi: pag.21-24; pag. 217-236