Con questo testo Mujčić affronta, sotto un'altra luce, il tema (tristemente autobiografico) della guerra in Bosnia a partire da una famiglia di esuli in Italia che affronta il viaggio di ritorno per assecondare le ultime volontà di Nana, figura forte di nonna che esprime il desiderio di essere sepolta nella sua terra d'origine. Il romanzo racconta dunque un viaggio materiale (e non solo) verso una terra perduta e molto amata. Una terra che, traspare dalle righe, fa ancora soffrire i suoi esuli a causa di vecchi e nuovi nazionalismi duri da scalfire e nei confronti dei quali la voce narrante,Lania, nipote di nana, esprime grande rammarico, un rammarico che tuttavia non si trasforma mai in rabbia e trova sempre un giusto equilibrio con l'ironia che sin dai suoi esordi caratterizza la scrittura di Mujcic. Infatti, il confine tra tragedia e sorriso è sempre molto sottile, la scrittura scorre su questa linea immaginaria, senza mai banalizzare la tragedia o al contrario incupire la lettura. Il pregio di un testo come questo sta nel riportare alla memoria un conflitto che, a distanza di vent’anni, lascia ancora ferite aperte, soprattutto per coloro che non hanno ancora ricevuto giustizia per le violenze e le morti subite e i corpi dei dispersi mai ritrovati. Il titolo, curioso, del romanzo, si svela alla fine, e ci ricorda che di guerre nel Novecento quella terra ne ha viste più d'una, e in particolare è la voce di Nana a raccontare, ancora una volta senza perdere in ironia, il contatto con gli italiani nel corso del secondo conflitto mondiale: "Così quel giorno ho imparato a contare in italiano fino a dieci, distribuendo le prugne ai fascisti. E pensa, com’è la vita, magari anche quel soldato racconta ai suoi nipoti come ha imparato a contare fino a cinque in serbo-croato. La mia storia possiamo chiamarla Dieci prugne ai fascisti, e magari la sua la chiameranno Cinque mele agli slavi. Lo vedi com’è la vita, ognuno racconta la sua! (p.146).