Una raccolta poetica ancora nel segno, come le precedenti, di uno sguardo attento alle piccole cose che assumono significati profondi, simbolici, attraversata da equilibrio, gentilezza e grande desiderio di comunicazione che si esprime in una "voce civile", come ben evidenziano le note critiche dei giurati poste in apertura del prezioso volumetto e il commento finale per la penna di Maria Borio che coglie bene il senso dell'opera e di cui riportiamo una citazione: "Libri come Ero in un caldo paese, dunque, offrono anche una chiave per riflettere su come spostare altre lenti sopra le tradizioni, i flussi, le dinamiche degli immaginari. Ogni scrittura multi-prospettica può parlare, oggi, con naturalezza di rivoluzioni" (p.82). Tale ricchezza di sguardo deriva anche dall'esperienza biografica dell'autrice, divisa tra due paesi, come emerge nei seguenti versi:
non sono mie le guglie/di montagne illuminate/non sono miei gli orti/profumati di resina e rose/erba fresca recisa/non sono mie le orme/ su vie ritorte di una città/che il tempo ha modellato/non sono miei gli occhi/che vegliano dalle finestre/levigate da venti e piogge/non sono nata qui/ma i muri mi annusano/quando m'incontrano (p. 43.)
Un altro filo rosso riguarda la matericità della parola che è delicata e lieve allo stesso tempo:
venite a vedere la notte/ che si accende di colori/ è possibile abitare la notte/ se porti un filare di sillabe sconnesse a penzoloni/cammini e loro si inoltrano e nel filo cominciano/ a separare il buio da quel lumicino che porti in mano/ per non perderti (p.55)
o ancora
senza rami nè vele/navighi in un mare/che ti scorre dentro/senza sponde/onde alte sferzano/ la barca e ti afferri/ alla lingua/sperando che regga (p.62)
e infine in queste due ultime liriche
cosa resta dicevi/con gli occhi bassi/la voce fioca/chiedeva quasi/scusa, ma vedi/ il fatto è che/il dire è la sola/cosa che ci resta (p.74)
la parola è uno strappo/una sorta di assenza e di lutto/nel grembo la carezza comunica/nel grembo la parola è il corpo (p.76)