Il percorso letterario in cui la studiosa iranista e islamologa accompagna il lettore si sviluppa a partire dal XIX secolo sino ai giorni nostri e presenta le più significative autrici iraniane che hanno fatto ricorso alla letteratura per denunciare, descrivere e rappresentare i mutamenti culturali, sociali e politici che hanno caratterizzato l’Iran e la sua tumultuosa storia recente. L’attenzione alla componente femminile è molto viva nei testi e in numerose occasioni Vanzan parla di sensibilità femminista.
Il testo, di taglio didascalico, ha il pregio di introdurre il lettore, anche il meno esperto in materia, con chiarezza e linearità in un ambito disciplinare non ancora molto diffuso in Italia. Si tratta di un saggio che, con sapiente delicatezza, apre prospettive inedite sull’Iran e sulla sua letteratura firmata da penne femminili.
La cifra che emerge è la vivacità intellettuale delle donne, la loro tenacia e resistenza verso i differenti sistemi che hanno cercato di zittirle o opprimerle. C’è sete di riconoscimento, in queste scritture, di rivendicazione di spazi di espressione libera e indipendente.
Da tali scritti arriva una grande lezione per le donne tutte, comprese (soprattutto) quelle occidentali: Vanzan non declina, evidentemente, il suo percorso in chiave eurocentrica o, peggio ancora, antiislamica, ma al contrario decostruisce stereotipi e triti pregiudizi sul mondo iraniano e più ampiamente islamico. La critica che la studiosa sviluppa, ad esempio, nei confronti del caso letterario internazionale "Leggere Lolita a Tehran" di Azar Nafisi, offre una chiave di lettura significativa: “Rifugiata nella letteratura di Scott Fitzgerald e Mark Twain, Nafisi non vede la crescita esponenziale della letteratura siglata dalle sue connazionali che, se usata in modo appropriato, diviene strumento di contestazione molto più sovversivo delle Lolite che non si leggono a Tehran. Nafisi vive come se la situazione in Iran si fosse cristallizzata al terribile periodo dell’immediato postrivoluzione, di cui descrive solo gli aspetti negativi, dando in pasto ai lettori quello che essi vogliono: il ritratto di un paese politicamente martoriato, privo di una tradizione culturale e di una scena letteraria e artistica – che invece è una delle più vivaci in Medio Oriente –, i cui giovani sono solo interessati a fuggire per inseguire il sogno americano” (p.191). Non è certo l’Iran di Nafisi che emerge dalla letteratura delle sue donne e Vanzan lo sottolinea fortemente.
Osserviamo ancora una volta come la letteratura abbia l’enorme potenzialità di smantellare, ma anche rafforzare immagini devianti di un certo paese o cultura.
Il significato che Vanzan attribuisce alla letteratura delle scrittrici iraniane, sia essa prosa o poesia, assume ruoli e significati che non valgono solo per l’Iran ma ne trascendono i confini, come leggiamo di seguito: “L’abbondanza di autrici che di continuo appaiono sulla scena artistica iraniana consente la coesistenza di molteplici voci capaci di offrire altrettante immagini, non solo delle donne, ma in generale del paese dell’altopiano. I riferimenti locali, il continuo intersecarsi dei piani narrativi con elementi storici, geografici e culturali prettamente persiani fanno infatti di questa letteratura una sorta di prisma tramite il quale osservare la realtà dell’Iran dei nostri giorni. Al tempo stesso si tratta di una letteratura universale, perché tocca corde e motivi comuni a ogni civiltà, anche se localmente vissuti in modo diverso (la discriminazione delle donne, il rapporto padri-figli, gli affetti, le esigenze delle nuove generazioni ecc.). E anche quando si serve di uno stile surreale e appare volutamente sganciata da spazi e tempi determinati, questa letteratura riprende e forgia simbolismi chiaramente interpretabili in ogni contesto culturale” (p.157).
"Figlie di Shahrazàd" non è certo un’apologia della letteratura delle donne iraniane, che esprime anche le contraddizioni interne alla società e nei suoi rapporti con l’esterno. A tal proposito, Vanzan dedica uno spazio finale anche al cospicuo fenomeno della emigrazione iraniana, dovuta a motivi sia economici che politici, i cui rappresentanti – emigranti “di successo” (p. 187), viste le loro collocazioni in prestigiosi settori del mondo del lavoro, soprattutto statunitense – hanno dato vita a un vero e proprio filone di scrittura iranoamericana. Fenomeno concretizzato anche in antologie che danno “voce alle donne iraniane d’America e alla loro esigenza di testimoniare le proprie condizioni di emigrate, seppur di lusso. Fortissimi sono i sentimenti di nostalgia per la patria, numerosi gli accenni alla quotidianità della vita in Iran, pressocché onnipresenti il senso di alienazione e di marginalità e frequente la delusione per il “sogno americano” (p.192).
In Italia il fenomeno dell’immigrazione iraniana non è consistente e la domanda che si pone la studiosa – e con essa anche il lettore – è “se l’emergere di questa nuova letteratura della diaspora sarà consistente per produzione, freschezza di motivi e originalità di intenti” (p.194).
È quello che ci auguriamo.