Tu sei qui

Fogli sbarrati. Viaggio surreale e reale tra carcerati e migranti

Editore: 
Eks&tra
Luogo di edizione: 
Mantova
Anno: 
2002

Recensione: 

«Scrivere, vuol dire sognare, visitare luoghi lontani, fare compagnia a persone sconosciute, dialogare, abbattere i muri che ci dividono, superare gli ostacoli che c’impediscono di capirci l’un l’altro. Poi, nel mio caso, significa soprattutto ritrovare, e quindi ricomporre un’esistenza che, ad un certo punto, mi è sembrata annichilita» (p.15).
Sono queste alcune delle parole con cui lo scrittore siriano Yousef Wakkas introduce i racconti di cui è autore, parole che bene illustrano il senso che egli attribuisce alla scrittura. Se si considera che egli compone da, per riprendere il titolo, “dietro le sbarre” ci rendiamo conto come il significato dello scrivere acquisisca un rilievo ancora più sostanziale.
Il surreale ed il reale menzionati nel titolo creano un binomio che accompagna l’intera raccolta, in cui l’equilibrio tra i due elementi è sapientemente mantenuto. L’introduzione di Erminia Dell’Oro sottolinea tale aspetto, quando afferma che «lo sguardo acuto e ironico dello scrittore e una sensibilità arricchita dal senso dell’umorismo, colgono, di episodi penosi, il lato talvolta comico, surreale» (p.9). Condizioni materiali e visioni immateriali intessono infatti ogni racconto in cui, grazie al ricorso all’ironia – che sfocia anche nell’assurdo – l’autore riesce a mantenere un atteggiamento distante dalle vicende e dall’ambiente in cui si trova, senza ignorarne gli aspetti tragici. Scansando atteggiamenti pietistici o autoreferenziali, Wakkas riesce ad accendere i riflettori su situazioni di emarginazione e di solitudine, creando il sorriso.
È un’umanità varia quella che egli rappresenta, sfaccettata, in cui italiani ed immigrati si scontrano e si incontrano, nell’ambiente soffocante di una prigione che rimane sullo sfondo e che talvolta concede spazi metaforici di fuga.
Il merito principale dei racconti di Wakkas sta nel riuscire ad andare oltre i muri materiali entro i quali sono stati composti. Tale “liberatoria” sensazione vede un doppio destinatario: il lettore italiano che, con il sorriso, viene reso consapevole di situazioni di devianza e marginalità, e l’autore stesso che, nel comporre, riesce a volare oltre ogni recinzione.
Se una raccolta come questa riuscisse ad avere diffusione anche tra i detenuti, rappresenterebbe senza dubbio un barlume di buonumore e di speranza.

Autore della recensione: 
Silvia Camilotti