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Il mare di mezzo. Al tempo dei respingimenti

Editore: 
Infinito edizioni
Luogo di edizione: 
Roma
Anno: 
2010


Recensione: 

È nato nel 1982 Gabriele Del Grande: un giovane bamboccione? No, passa il tempo a cercare notizie, a verificarle, a scriverle, sui giornali, sul suo blog, http://fortresseurope.blogspot.com, divenuto ormai un punto di riferimento importante, le pubblica in testi molto presentati e letti. È il caso di questo suo ultimo libro, frutto di tre anni di inchieste. Si tratta di fatti che conosciamo dalla cronaca, grazie proprio al suo impegno di giornalista, non sempre messi dai media nella dovuta evidenza. Qui sono riconnessi in un quadro di maggior respiro che amplia la comprensione degli eventi e con una attenzione che spazia dalla Libia all'Egitto al Marocco alla Tunisia ai CPT italiani, in un arco temporale molto vicino ai giorni che viviamo e con particolare attenzione agli effetti sulle persone dei più recenti atti legislativi. Il quadro dei fatti è inserito in una riflessione ed in una dimensione etica che, assieme alle indubbie capacità letterarie di questo giovane, rende appassionante la lettura. Il 'racconto' comincia dai 'padri'. Se possiamo perderci di fronte all'elenco di nomi arabi, noi italiani così superficiali e poco attenti ai nomi e ai volti (questi neri tutti uguali, questi nomi strani, non lo posso ricordare, ti chiamerò Maria), non possiamo però dimenticare l'impatto emotivo con cui Del Grande ci provoca: ci sono dei 'padri' in Marocco che si stanno sforzando disperatamente e senza l'aiuto di nessuno, anzi contrastati, di capire cosa è successo ai loro figli partiti per l'Europa nel fiore dell'età. Sono morti in mare? Sono prigionieri nelle carceri tunisine? Sono stati assassinati da un pescatore che 'non voleva passare guai'? Perché dall'altra parte del Mediterraneo non si può venire in Europa per incontrare la fidanzata o per andare all'Opera a Parigi. Solo i criminali ricchi riescono a muoversi liberamente come gli europei o le merci. Gli altri rischiano anche la vita ogni volta che non riescono ad avere un permesso. Ed è difficile che lo ottengano se scappano dalla guerra come i somali o dalla dittatura come gli eritrei o dopo una rivolta repressa nel sangue come i tunisini. Gabriele del Grande è nato negli stessi anni di molti di questi giovani e si chiede cosa ha fatto lui mentre ad altri, innocenti, è toccata la prigione. “Pensavo ai miei ultimi due anni. A quante cose avevo fatto. Ai miei viaggi. Ai miei amori. Ai miei sogni. Alle mie lotte. Due anni erano lunghi. Soprattutto per qualcuno come me o come Goitom che non aveva ancora compiuto trent'anni. E per una ragazza incinta quanto potevano essere lunghi due anni? E per un bambino appena nato? E per un marito? E per un padre? Quanto tempo duravano due anni?” Trattenuti in carceri terribili come quelle della Libia, delle cui condizioni è a conoscenza sia l'Italia sia l'Unione europea. Conoscono la situazione le autorità italiane, dai prefetti ai funzionari del Ministero dell'interno, alle forze di polizia che hanno avviato dal 2004 progetti di formazione con la Libia. Per non parlare delle commissioni italiane per l'esame delle domande di asilo politico che hanno sentito migliaia di testimonianze. Questo libro è un appello alla responsabilità, non sono fatti che si possono ignorare, far finta di non vederli, sono crimini che chiedono a tutti i cittadini italiani di assumersi delle responsabilità. La cronaca (a lanciare l'allarme è stato sempre il nostro giovane giornalista) ci parla di eritrei trasferiti in prigioni nel sud della Libia con container. Assiepati in scatole di ferro attraverso MILLE chilometri di deserto. Ne parla anche il libro e ci racconta sia dei container sia delle prigioni e di come sono. Di come è peggiorata la situazione dopo gli accordi dell'Italia con Gheddafi e di come le motovedette italiane rimettano in mano libica (e a quelle prigioni) persone che non hanno commesso reati (quello di passare una frontiera da clandestino è un reato solo per una legislazione disumana). Si ricorda anche la morte di settantasette persone, scomparse nel Mediterraneo perché nessuno li ha voluti vedere. “Nell'era della tecnologia una barca così grande non può sfuggire agli occhi d'aquila che pattugliano ogni angolo di questo mondo”. E non hanno voluto ascoltare gli allarmi che partivano dai parenti delle vittime. Perfino gli uomini di mare vengono convinti che è meglio girare la testa perché si può finire arrestati per aver favorito l'immigrazione clandestina o rovinati economicamente, con le barche sequestrate per anni. Dopo i pericoli del deserto e del mare gli arrivi in Italia possono significare CPT con insurrezioni e scioperi della fame come nuove prigioni in cui sono inghiottiti profughi che non vengono creduti: rimpatriati esuli tunisini o 'stranieri' ormai italianizzati, sposati, con figli e lavoro. Tutti rimpatriati verso paesi dove subiscono ritorsioni e rischiano la vita. CPT che per converso offrono affari lucrosi quando non permettono vere truffe e costano molto di più, con le espulsioni, di una civile accoglienza. Si possono ignorare questi fatti? come diceva il comandante Russo che ha salvato in condizioni difficili 350 naufraghi:“non ci si poteva girare dall'altra parte” .

Autore della recensione: 
Maria Rosa Mura