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La chiave nella mano, Ključ na dlanu

Editore: 
Campanotto Editore
Luogo di edizione: 
Pasian di Prato (UD)
Anno: 
2008
Traduttore: 
A. Parmeggiani

Recensione: 

Sono testi parzialmente apparsi in italiano, alcuni editi per la prima volta subito dopo l'arrivo in Italia dell'autore, dalla 'benemerita' Associazione culturale -Centro di accoglienza “Ernesto Balducci” di Zugliano (Ud), creata da Pierluigi Di Piazza che è stato capace di vedere e di segnalare la presenza di un poeta in mezzo a quell'umanità che altri considerano massa informe di immigrati-extracomunitari-clandestini-criminali in nuce o conclamati. Fin da subito accompagnato dalla traduzione in italiano di Alice Parmeggiani, da quei primi libri ormai introvabili Stanišić passa ad altre pubblicazioni anche di narrativa, e poi, di diritto, nei manuali del settore, come "Nuovo Planetario Italiano. Geografia e antologia della letteratura della migrazione in Italia e in Europa" a cura di Armando Gnisci del 2006 o l'antologia “Ai confini del verso. Poesia della migrazione”, a cura di Mia Lecomte.
Qui sono raccolte in una preziosa edizione bilingue le sue “ne pjesme-non poesie”, così le chiama l'autore con il consueto schermirsi dubitare attenuare interrogare interrogarsi, riflettere e analizzare, in un ritmo spezzato, sospeso, che va e torna, privo di certezze apodittiche e imposizioni.
Toledo, la chiave nella mano-Toledo, ključ na dlanu è la poesia che dà il nome alla raccolta e ci immerge nella Bosnia dalle molte anime, in quella che era la terra della convivenza. La chiave infatti è quanto resta, tramandata di padre in figlio per secoli, dell'antica casa di Toledo da cui sono stati cacciati quegli ebrei che navigano verso oriente e si fermano nei Balcani, gli ebrei sefarditi di Sarajevo. La Bosnia ricca dell'incrocio tra tante culture in cui l'autore è felice e orgoglioso di essere nato, nonostante la sofferenza che gliene è venuta.
Non si può non ricordare l'analogia del destino e le 'chiavi del ritorno' di cui parla un racconto di 'Abd al-Salam al-'Ugiayli (“Le lampade di Siviglia” nel testo dallo stesso titolo, tradotto da Maria Avino, Jouvence, Roma, 1995). Appese per secoli nelle case del Marocco avrebbero potuto aprire le case abbandonate in Andalusia.
Questi versi discutono dentro di lui i motivi del suo pacifismo e dell'ordine o disordine del mondo, ma la chiave degli esuli resta il tema dominante. Il dolore del viaggio senza fine e senza possibilità di ritorno, o peggio ancora dover desiderare di andare lontano, il lutto della lontananza che si affaccia nei gesti e nel paesaggio quotidiano, nella primavera e nello scricchiolio della neve, nel volo libero degli uccelli.
Sempre è presente il là, il prima, per quanto ci si concentri sull'adesso nella sua leggerezza, sempre appare, inaspettata, l'ombra di quei giorni.
Un dialogo continuo che nel quotidiano più semplice scava fino all'essenza, la intesse delle parole illuminanti di altri scrittori e ripercorre la storia, del suo paese, sua personale, degli uomini.

Autore della recensione: 
Maria Rosa Mura