I confini del Mediterraneo. Ultimi decenni. Da qualche tempo molti migranti forzati arrivano ai confini marini o terrestri dei paesi di frontiera europea meridionale e orientale. Fuggono da eventi o persecuzioni noti e diffusi, ciascuno è un individuo diverso, con una propria identità e biografia sconvolte dalla fuga e dal viaggio. La migrazione non è una parentesi breve, spesso si lascia tutto (radici, affetti, ruoli), poi per mesi e anni ci si sposta pagando e subendo tutto, senza conoscere nulla di cosa si trova. Nell’ultimo decennio siriani, afghani e curdi hanno dovuto preferire la rotta orientale (prima Patrasso, poi l’Ungheria). A seguire rotte verso l’Italia (Lampedusa è a sud di Tunisi) continuano a essere soprattutto africani per ragioni storiche di lungo periodo: ci sono l’abbandono dei terribili gulag eritrei, la dissoluzione del Corno d’Africa, la crisi dell’Africa occidentale sotto il Sahara, guerre e tumulti in Libia. Muri, blocchi navali, rimpatri forzati sono violenti, pericolosi, inutili. È indispensabile risolvere le cause che generano la fuga in massa di interi popoli, capire che i viaggi vengono dopo stermini silenziosi e sono percorsi da cui si esce profondamente cambiati (quando si sopravvive: alle vessazioni, al deserto, al mare), prodigarsi con competenza e generosità. Contano i grandi numeri e le piccole storie: il sudanese (dal Darfur) Ali; il somalo Hamid; gli eritrei Syoum, Gabriel, R., Behran (transitato pure nell’inferno del Sinai); il curdo Shorsch; gli afghani Ahmad e Aamir; libici e palestinesi; trasportati e trasportatori; traghettati e scafisti; vittime e minorenni; sicari e capi. Il giornalista narratore Alessandro Leogrande (Taranto 1977) ha raccolto in un libro serio e bello le domande e alcune risposte di venti anni di peregrinazioni fra migranti forzati di arrivo o transito nel nostro paese. Romano d’adozione, è vicedirettore del mensile “Lo straniero” (fondato da Goffredo Fofi nel 1997), collabora con vari organi d’informazione e ha pubblicato articoli, servizi, testi su mari di naufragi e terre di confine. Titolo e filo del volume coincidono: le “nostre” frontiere come termometro del mondo, non luoghi precisi ma territori in perenne mutamento e, come ripete alla fine, “una linea lunga chilometri e spessa anni… solco che attraversa la materia e il tempo, le notti e i giorni, le generazioni e le stesse voci che ne parlano, si inseguono, si accavallano, si contraddicono, si comprimono, si dilatano”. La sua riflessione è fedele alla pluralità dei punti di vista, di qua e di là, andate e ritorni, prima durante dopo, testimonianza e pudore. Ci sono continui punti interrogativi, mai supponenza e iattanza. Si può ridurre il male? L’anno dell’operazione Mare Nostrum lo ha ridotto, utile perché ha salvato 160mila persone, imperfetta perché non ha evitato la morte di 3.400, utile perché ha fatto fare assistenza sanitaria e umana alla Marina Militare, imperfetta perché considerata presto troppo costosa. Forse manca un cenno alla questione della migrazione forzata di “Ecoprofughi”, comunque Leogrande esamina con sguardo acuto dati e informazioni sui centri di permanenza e sul colonialismo italiano, sullo schiavizzato bracciantato meridionale e sulle guerre d’indipendenza, su Alba Dorata e sui campi profughi, sulle associazioni di sostegno e sui processi giudiziari in corso.