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Sono una vecchia comunista!

Autore: 
Editore: 
Zonza
Luogo di edizione: 
Cagliari
Anno: 
2007
Traduttore: 
I.M. Pop

Recensione: 

Dan Lungu è uno dei maggiori esponenti della letteratura romena contemporanea, riconosciuto per la sua variegata e ricca produzione e tradotto in numerose lingue.
Questo romanzo, uscito nel 2007, offre uno spaccato della Romania di oggi, a partire dalla narrazione in prima persona affidata a una signora, la “vecchia comunista!” che dà il titolo al romanzo. Ella ragiona ad alta voce sui tempi di Ceauşescu, vicini negli anni ma lontanissimi nella percezione della gente. La simpatica signora, che con apparente spensieratezza ripensa a quei tempi e si stupisce che le giovani generazioni – di cui sua figlia, emigrata all’estero, è rappresentativa – guardino con biasimo a quei tempi e auspichino un cambiamento di rotta nella politica del paese, che ancora non li soddisfa. Le domande della protagonista portano alla luce una questione destinata a rimanere irrisolta, riassumibile, potremmo dire, nel classico “si stava meglio quando si stava peggio?”con tanto di punto di domanda finale. Il continuo confronto tra passato e presente, l’andirivieni della memoria ci permette di cogliere sguardi della Romania pre e post 1989, descritti con uno stile colloquiale, molto scorrevole e di grande efficacia. Il registro stilistico si caratterizza per la varietà nell’intercalare della narrazione tra scene del passato e del presente e i numerosi aneddoti al limite del comico anche intorno alla figura del dittatore. «E’ vero, sono stata membro di partito. Ma questo non significa che nel dicembre dell’89 io non abbia gridato “Abbasso Ceauşescu!”, che non abbia seguito con il cuore in gola la rivoluzione e l’esecuzione dei coniugi Ceauşescu in televisione. Questo non significa che non mi sia dispiaciuto che li abbiano fucilati il giorno di Natale, senza dar loro la possibilità di difendersi. Questo non significa che, solo per il fatto di non aver portato fiori sulla loro tomba, non rimpianga la vita che ho vissuto […] Non pensavo assolutamente che si trattasse, come si dice ora, di un partito criminale che sbatteva la gente dietro le sbarre e che riduceva la popolazione alla fame. Non so perché, ma non mi era passato per la mente, forse perché io non avevo parenti in prigione, forse perché tutto sommato ero felice della vita che conducevo. Dico “tutto sommato” perché, certo, anch’io avevo i miei dispiaceri. Sono più contenta adesso della vita di allora di quanto non lo fossi sul momento. Perché ora ho un termine di paragone. E non sto dicendo che, se venissero tempi ancora più bui di questi, rimpiangerei ciò che ho adesso (83-85)». Non leggiamo apologie di quei tempi, né critiche rancorose o sferzanti, ma, attraverso la presentazione delle diverse posizioni dei protagonisti esce un quadro equilibrato che non nega le contraddizioni del passato e del presente. Il passo citato mostra con chiarezza la questione attorno a cui la protagonista si arrovella, senza rigide prese di posizione, accogliendo il dubbio e riflettendo sulla base della propria esperienza individuale, priva dell’arroganza di assurgere a universale. La realtà è sempre sfuocata, sfumata, sembra volerci dire, e una cauta quanto sincera riflessione sull’oggi e su ieri ci aiuta a entrare in un pezzetto di storia senza la pretesa di giudicarla.

Autore della recensione: 
Silvia Camilotti