di Maria Serena Tait
L’occhio mangia prima dello stomaco
(proverbio magrebino)
È toccato a Mina Yakoubi, giovane donna di origine marocchina residente a Trento da diversi anni, l’onore di inaugurare il ciclo di cene a tema, proposto dal Gioco degli Specchi per il 2015.
La sua idea era quella di offrire agli ospiti un viaggio in Marocco, non semplicemente del cibo. Perché il cibo fa riflettere e trasmette cultura. I commensali dovevano poter comprendere in che modo si onora un ospite nel suo paese, e Mina desiderava rivelare in questo modo anche qualcosa di sé e della sua cultura vegetariana.
Ha scelto di proporre un menu pensato a partire dal “tajine”, nato come piatto dei poveri, con tanta verdura e poca carne, divenuto piatto tipico della cucina magrebina.
La parola “tajine” sta a significare sia la pentola in terracotta con il caratteristico coperchio a cono, sia il cibo che nella pentola viene cotto, sia il modo di mangiare la pietanza. Il tajine arriva in tavola coperto e deve essere sempre una sorpresa, la scoperta di un segreto. Quando il coperchio si alza si vedono solo le verdure, meglio se sono 7 tipi di verdure, con tutto il contrasto dei colori, il rosso del pomodoro, il verde dei legumi o delle zucchine, il giallo della carota, il bianco della patata… Davanti a me c’è un quadro ed io dovrò scavare in questo quadro.
Il tajine può essere composto da carne e verdure speziate, pollo, coniglio, agnello o polpettine, oppure essere preparato in agrodolce con carne e frutta in diverse combinazioni, prugne, albicocche, ananas, fichi, noci, mandorle e pinoli. Il denominatore comune è la cottura dovuta alla pentola, una cottura che si può definire al vapore, con i diversi alimenti aggiunti in tempi successivi a seconda della loro consistenza, mentre il vapore circola all’interno dell’alto coperchio a cono e profumi e sapori si fondono.
Nel tajine si vede la pazienza della cuoca: ci vogliono quasi due ore di cottura lenta. Tuttora in Marocco molti preferiscono cucinare utilizzando un tegame con il carbone. Naturalmente si può usare anche il gas, ma sempre a fuoco lento.
Il tajine un tempo si mangiava seduti in terra a gambe incrociate attorno ad un tavolo rotondo per formare un cerchio simbolo di unione tra i commensali. Si mangiava con le mani, tutti dalla stessa pentola, magari usando un pezzo di pane, e quindi prima di sedersi tutti dovevano lavarsi le mani.
Talvolta poteva capitare che i bambini arrivassero in fondo alla pentola senza trovare nemmeno un pezzo di carne e le mamme troncavano le loro proteste dicendo che se l’era mangiata il tajine.
Una zia di Mina amava dire che quello che fa invecchiare la donna marocchina è il ritardo di un ospite o di un familiare, che trova il quadro di colori e sapori del tajine, creato con tanta pazienza e amore, già distrutto da chi ha mangiato prima e solo la sua porzione avanzata.
Ora anche in Marocco si è diffusa la cucina internazionale, o cucina “snob”, come la chiama Mina, fatta di pasta, brioches, piatti veloci e meno costosi e i marocchini di seconda generazione residenti in Italia gradiscono di più pasta e pizza. Ognuno preferisce avere il proprio piatto e sedersi al tavolo con le sedie, che permettono maggiore libertà di movimento ma spezzano la ritualità del cerchio con la sua condivisione di cibo, pensieri e parole.
Il tajine, con il gioco della scoperta e la sua tavolozza di colori, rimane però il modo più efficace per far sì che i bambini mangino le verdure, altrimenti non troppo gradite.
Mangiare utilizzando dei pouf marocchini e un tavolino basso rappresenta la maniera immaginata da Mina per salvare la tradizione e riproporre anche ai figli la cultura e la magia del tajine.