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Primo piano

Il teatro come esperienza formativa e di incontro

Creatività oltre i confini

di Zaklina Paunku*

Appena arrivata al teatro Florida, vedo esposta la locandina: ‘’Storia di un bandito che conquistò il potere”, testo tratto dall'Arturo Ui di Bertolt Brecht. Lo spettacolo si terrà sotto la regia di Massimo Luconi, il quale ha dato vita a questo progetto assieme allo storico del teatro Cesare Molinari. Si tratta di un progetto nato l’anno scorso e portato avanti grazie ad un lavoro serio, costante e non sempre facile. Il progetto ha coinvolto fino ad oggi più di trenta richiedenti asilo. Questi ragazzi, dopo mesi di viaggio sulla  rotta del Mediterraneo, si trovano oggi a Firenze, dove si stanno preparando per un altro spettacolo. Ospitati in tutta la regione, vivono in strutture dignitose messe a disposizione dai vari Comuni in attesa di sapere cosa ne sarà del loro futuro. Di questi trenta ragazzi, gli undici che hanno scelto di rimanere fino alla fine del progetto, dopo essersi impegnati duramente hanno imparato l’ italiano e hanno cominciato ad amare il teatro, il quale si è per loro gradualmente trasformato in un luogo di pace. Un posto, dove per cinque o sei ore, possono momentaneamente lasciare da parte i problemi e concentrarsi solo sulla pronuncia delle parole in italiano e sull’importanza di ogni gesto, movimento del corpo, suono e silenzio. Il palcoscenico diventa il luogo in cui possono essere finalmente se stessi. Questi ragazzi, con l’aiuto di Massimo, stanno creando il loro futuro, attraverso un impegno quotidiano e un lavoro da attore pagato regolarmente.

Apro il sipario ed entro nel teatro ancora buio.

Uno alla volta entrano gli attori. Si fanno strada con qualche battuta pronta e un sorriso stampato sul volto. I tecnici verificano che luci e suoni funzionino a dovere prima delle prove. Il regista accende un computer che si trova sul palcoscenico e fa partire un video che mostra lo spettacolo dell’anno scorso. Lo indica ai ragazzi e dice: ‘’Guardate com’eravate!!’’ e tutti immediatamente scoppiano a ridere. Il regista ha invitato tutti a salire sul palcoscenico, i ragazzi si sono seduti per terra e assieme hanno formato un cerchio. 

Prima che iniziassero le prove, Massimo ha voluto ringraziarli e a turno ognuno ha preso la parola. Anche loro si sono ringraziati a vicenza per la partecipazione e si sono incoraggiati l’un l’altro per dare il meglio nei giorni a seguire ed essere pronti per lo spettacolo di domenica.

I loro progressi, rispetto all’anno scorso, mi sono sembrati incredibili; all’inizio i ragazzi, a causa delle diverse etnie di appartenenza e delle diverse lingue, non riuscivano a comprendersi tra loro e quindi a comunicare. Non conoscevano ancora l’italiano e lo spettacolo fu recitato nelle diverse lingue e dialetti di ognuno. In quel momento la comunicazione non era basata sul linguaggio verbale, ma sull’empatia.

Questa volta, mi dicono, lo spettacolo sarà interamente in italiano. Non in bambara, peul, solinkè, wolof, francese, inglese o nella lingua dei Mandingo del Mali, ma in italiano, e vogliono che ogni parola venga scandita chiaramente in modo che il pubblico possa capire.

Chiedo a Massimo cosa lo spinge a continuare questo lavoro con i ragazzi e lui mi risponde che l'Africa e gli africani gli hanno dato tanto e lui ormai li conosce molto bene. A loro riconosce un forte senso della comunità, cosa che invece noi europei abbiamo un po' perso. Ho tergiversato un momento prima di chiedergli cosa ne pensasse dell'ormai inflazionato tema dell'integrazione. Massimo però, mi dice, preferisce utilizzare un altro termine: articolazione. Al posto dell'integrazione Massimo mi parla così di articolazione, ovvero di un'articolazione di più culture che si intrecciano e comunicando creano qualcosa di nuovo, ed è esattamente ciò che questo regista cerca di fare ogni giorno. 

 Le prove sono iniziate. I ragazzi sono determinati e seri. Si correggono a vicenda per raggiungere il massimo risultato possibile. 

 Conoscono il testo a memoria. Tra di loro c’è anche un ragazzo un po’ timido, si vede che non si sente ancora sicuro sul palco. Gli altri lo guardano   sorridendo, e tra loro commentano:

 ‘’gli manca solo un po’ di forza, ma ce la farà’’ 

 C’è una bella atmosfera in questo teatro, tanto rispetto reciproco e una forte volontà di creare insieme comunicazione nella diversità, ma anche   attraverso la musica e la creatività.

 Ovvero quel tipo di  comunicazione di cui oggi si avrebbe bisogno più che mai. 

 

  

 

*Zaklina Paunku è una fotografa serba laureata in scienze politiche, relazioni internazionali e diritti umani presso l'università di Padova