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La passione del vuoto

Editore: 
Besa
Luogo di edizione: 
Nardò
Anno: 
2003

Recensione: 

Se già in Racconti italiani Monteiro Martins rivelava una cifra stilistica e poetica ben definita, ne La passione del vuoto vediamo una ulteriore maturazione dello scrittore, sia dal punto di vista formale che strutturale. I racconti di questa seconda raccolta non sono, infatti, tenuti insieme solo dal ben definito modus scribendi dell’autore e dall’evidente volontà di entrare in diretto dialogo con il nostro presente: sono legati da un solido filo rosso che attraversa con sistematicità tutta l’opera, ponendola al bivio tra la raccolta di racconti ed un romanzo alquanto sui generis.
Tutti i personaggi e le voci narranti che incontriamo ci parlano – in maniera molto differente e secondo un punto di vista sempre diverso – della passione del vuoto: di un bisogno, di un’ansia, di un presentimento, o di una non-consapevolezza della necessità di riempire un vuoto. Il vuoto sono interstizi dell’anima che vacillano, assenze, mancanze, sogni vagheggiati, attimi persi, ricordi frantumati e mai ricomposti, paure immotivate o reali, malattie dell’anima e del corpo, fantasmi di idee; ma il vuoto può essere anche un’intera esistenza. E’ comunque un vuoto personale, interno all’individuo, che diviene però, nelle pagine di Monteiro Martins, sempre lo specchio di qualcosa di più grande, di un Vuoto collettivo più universale che unisce e determina i singoli vuoti interiori.
Vuoti che assumono forme differenti ed opposte tra loro; vuoti che possono essere esplicitati (e spesso derisi con beffarda ironia dall’autore), ma anche dissimulati, nascosti, resi quasi irriconoscibili: perché elusi dall’io narrante che se li porta dentro, ma di non piana decifrazione neanche per il lettore, chiamato a leggere i richiami interni al testo ed a penetrare oltre le parole, nel gioco metaforico tra i diversi piani di lettura.
E, d’altra parte, quanti tipi di vuoto esistono? Quanti vuoti ciascuno di noi si porta dentro? E come poter narrare la miriade di vuoti nel Vuoto se non attraverso piccoli, essenziali, densi racconti che si richiamano l’un l’altro? Di pagina in pagina la definizione di questo vuoto si affina e si trasforma, per giungere ad una contemplazione assorta dell’oggi: di un mondo che si trasforma senza voltarsi indietro e senza farsi guidare dalla bussola, che gira «impazzita all’avventura e il calcolo dei dadi più non torna».
Vuoto degli ideali che guidarono il ’68, ma anche assenza di martiri oggi (In sanguine meo); vuoto del padre per il vuoto della figlia eroinomane (Eriza Bay); svuotamento dell’anima colpita da uno scorpione, specchio della desolazione dell’Europa (La viejamota), e presentimento della pericolosità del futuro occidentale (Istantanea n.11), poiché il cancro che colpisce gli individui non è altro che lo specchio del cancro iniettato e fatto proliferare dalle banche e dalle multinazionali (Il pane bianco). Vuoto sociale che è concime per la dittatura e per la rinascita del pensiero archetipico e mitico (La passione del vuoto); vuoto sociale e culturale che è il germe di ogni paura e di ogni fobia: tanto che il massacro preventivo di innocenti diviene lecito e comandato dallo Stato (L’irruzione, dove il riferimento alla carneficina nella scuola Diaz durante i G8 è esplicito e crudo).
E vuoto, poi, come morte: morte in vita, morte nella morte, paura della morte (Oltre: un uomo sceglie di farsi ibernare – di fatto morendo - a 58 anni per poter vivere in futuro, quando la scienza gli permetterà di essere ‘immortale’). Ed infine, vita che preannuncia la morte, nascita e morte che si avvicendano nel flusso della vita: Avvio, racconto perfetto in cui si intersecano due parti. Il primo avviene in un ospedale superassistito, dove una donna di 36 anni dà alla luce con cesareo un bimbo di 4,2 Kg, raccomandando la «massima precisione nella sutura perché ha intenzione, già dalla prossima estate di indossare un tanga brasiliano» e ricordando «che non può allattare il figlio. Ha inserito una protesi di silicone […] e non vuole rischiare di danneggiare la sua immagine». L’altra è invece un parto in casa, con protagonista una bambina di 13 anni dal ventre piccolo e troppo stretto per far passare il bambino, che Monteiro Martins narra con una poeticità dolcissima, ma tanto più cruda perché giustapposta all’altra nascita: così innaturale, così irrispettosa della vita da assomigliare ad una morte.
Tra dolore e stenti, aiutata dalla madre, la ragazza riesce comunque a dare la vita al suo piccolo; e, seppur stanca e sfinita, se lo porta al seno.
"Il neonato comincia a succhiare […]. La ragazza sente allo stesso tempo il piacere di allattare il figlio ed una strana sensazione di leggerezza e di freddo, che le sale a poco a poco dalle gambe e dalla pancia. Il freddo sembra fermarsi per qualche momento all’altezza dei seni, permettendo al bambino di saziare la sua fame. Poi riprende la sua salita dopo che ha smesso di poppare per addormentarsi aggrappato al seno materno. Allora la vita nel corpo della ragazza-madre non si trattiene più."

Autore della recensione: 
Rosanna Morace