Una raccolta poetica ancora nel segno, come le precedenti, di uno sguardo attento alle piccole cose che assumono significati profondi, simbolici, attraversata da equilibrio, gentilezza e grande desiderio di comunicazione che si esprime in una "voce civile", come ben evidenziano le note critiche dei giurati poste in apertura del prezioso volumetto e il commento finale per la penna di Maria Borio che coglie bene il senso dell'opera e di cui riportiamo una citazione: "Libri come Ero in un caldo paese, dunque, offrono anche una chiave per riflettere su come spostare altre lenti sopra l
Le migrazioni planetarie messe in opera dai rivolgimenti storici e politici della fine del secolo scorso stanno sconvolgendo gli attuali assetti nazionali e sottoponendo le popolazioni a un rimescolamento identitario e linguistico a cui conseguono culture ibridate e la messa in discussione della legittimità dei canoni letterari.
Una raccolta di poesie attraversata da un filo rosso ben distinguibile, al punto che pare di leggere una vera e propria storia, una narrazione. Lo spunto, drammatico, è, come la stessa autrice dichiara nella postfazione e come si nota dalla dedica, la vile uccisione di Giulio Regeni. A parlare sono i tanti Giulio, le tante persone che vedono in faccia la morte in circostanze drammatiche.
La traduttrice di queste poesie scritte da Adam Zagajewski nell'arco di vent'anni, in una ricca post fazione ci dice cosa significhi per lui la poesia: se la musica è stata creata per chi ha una casa, la pittura per gli stanziali, «la poesia si addice agli emigranti, a quegli sventurati sull'orlo di un precipizio, sospesi tra due generazioni, tra i continenti.» La condizione di migrante e il senso di estraneità ispira molti di questi versi, con la nostalgia non per la grigia repubblica socialista polacca in cui ha vissuto, ma per la Leopoli del mito familiare.
Il testo raccoglie una selezione di poesie, in polacco con a fronte la traduzione italiana, che vanno dal 1956 al 1982. Molte le riflessioni sul potere; sulla dittatura, mostro che non si vede se non dalle sue vittime; sull'eternità che non invidia agli dei e al paradiso; sul suo paese, in cui non può non tornare, per la dolcezza della memoria e nella speranza di dare risposte.
....vede già
il confine
il campo arato
le omicide torrette di guardia
i fitti cespugli di filo spinato
Il testo, a cura di Ottavio Fatica, è bilingue: romeno- italiano, inglese - italiano, seguendo la biografia dell'autrice. La selezione delle poesie copre infatti lunghi anni di produzione e si arriva anche a quelle scritte nella nuova lingua, in inglese. Anche i temi di conseguenza sono i più vari, domina la riflessione sul senso dell'esistere e il prezioso nitore dei versi, mai niente di inutile, una continua eco di autoironia e immagini potenti.
Dalla prefazione di Erri de Luca: i versi di questa raccolta somigliano a onde, stanno in una corrente che accompagna. Mettersi è il verbo di chi deve andare allo sbaraglio di un'emigrazione: mettersi nel viaggio. E' carovana, pista nel deserto, in mani di mercanti di persone. Sono i peggiori: di qualunque altra mercanzia avrebbero premura di custodia e consegna.
Il corpo umano è diventato la più redditizia delle merci. Occupa poco spazio e pure se non sbarca, non arriva a destinazione, ha pagato lo stesso.
Che cos’è il volto? Potremmo forse dire che un volto è un’identità, una risposta sensibile alla nostra esigenza di vedere e comprendere l’emersione individuale di ciascun vivente; segno uguale e diverso oltre le contingenze dei tempi e dei luoghi in cui la vita di ciascuno si svolge, anche se mai a prescindere da questi accidenti cardinali della vita personale.
POESIE DI LIVIA BAZU, TATIANA CIOBANU, EDITH DZIEDUSZYCHA, SARAH ZUHRA LUKANIC, OLGA OLINA, HELENE PARASKEVA.
Questo libro di poesie tocca vari temi dell'esistenza degli uomini e descrive in modo coinvolgente la natura in cui sono immersi. Ad esempio nella nostalgia dei luoghi dell'infanzia e dell'amicizia di un tempo, nel volo degli uccelli che danno profondità al paesaggio e senso al volgere del giorno e delle stagioni. È la prefazione di Hajdari a spiegare perchè questi paesaggi siano prevalentemente pietrosi, minacciati, oscuri: l'opera di Mustafaj nasce nelle montagne nel nord dell'Albania e si sviluppa nell'inverno di una feroce dittatura.
bilingue, italiano-albanese
Nizàm è il nome turco che indica i soldati albanesi combattenti per l'impero ottomano, i cui canti, assieme a quelli dei kurbèt, i migranti, rappresentano una parte importante del patrimonio culturale albanese tramandati di generazione in generazione e cantati durante le cerimonie. In comune, come spiega lo stesso autore nella introduzione al volume in cui ha raccolto e tradotto in italiano decine di testi tradizionali, la nostalgia per la lontananza dalla patria. In particolare i canti dei nizàm esprimono dolore, ma anche protesta contro l'invasore che li obbligava ad a