Possiamo ascoltare il pensiero e la musica di una poeta contemporanea grazie alla concorde e generosa azione di almeno tre persone. Uno scrittore che vive sul crinale di più mondi e vuole farci partecipi di quello da cui proviene, una appassionata traduttrice che si mette a nostra disposizione, un editore temerario. Božidar Stanišić, Alice Parmeggiani e Marco Munaro hanno voluto dare nei fatti una risposta a quella piccola, impegnativa domanda che Ferida Duraković si fa nella prefazione attraverso le parole di Hőlderlin: "A che servono i poeti in tempi meschini?" Un immaginario Reichstag si è di nuovo incendiato ed è ancora peggio della prima volta dopo che abbiamo proclamato "MAI PIÙ". "Ma allora, a che servono davvero i poeti in tempi meschini?"
È con le parole di un altro poeta che Ferida si risponde, scegliendo per l'esergo Czesław Miłosz:
"Poichè le poesie si devono scrivere di rado e controvoglia
Gravati da insopportabile angoscia e solo con la speranza
Che siano strumenti non di malvagi ma di buoni spiriti."
Questa selezione, effettuata dall'autrice stessa, ce ne offre molti di strumenti.
"L'incendio di un Reichstag" si paga con la vita, che non può essere più la stessa, che fa temere anche una giornata normale, la serenità di un bell'albergo, di una bella camera, in una nazione tranquilla:
"..Ma ho paura di addormentarmi
In una città sconosciuta
In una lingua sconosciuta
Fra persone felici
E svegliarmi
Con un urlo
A Srebrenica."
Non ci può più essere quel mondo meraviglioso dell'infanzia, "quando mamma e papà
erano qui, ed erano miei"
"ma che nessuno me la tocchi per caso
e neppure l'occhio
quella loro acqua pura che bevo,
il ricordo di quell'acqua limpida dell'amore loro".
C'è però una nuova profonda consapevolezza del nostro essere umani, che si fa strada in mezzo alla ferocia di cecchini e macerie, alla tristezza di una vita stravolta.
È la sollecitudine di una madre, "Ogni madre è un amore di bambino", più forte del peso della guerra, cocciuta, irrazionale, prodiga, protettiva, capace di contrastare la lunga e grave malattia di questa guerra con il suo "segreto balsamo fatto di testa saggia e di erbe medicinali."
Sono le voci contrapposte che si alzano in "Chi piange dietro il muro?" in cui nella Sarajevo della guerra si riesce a guardare
"da entrambi le parti del muro,
da entrambi le parti del fiume"
Le voci impietose che insistono sul "noi - loro", "sono nostri - non sono nostri", vengono contrastate dalla affermazione di una comune umanità che protegge gli indifesi.
"Ma se non sono nè loro nè nostri
Di chi sono allora?
Penso che siano nostri
Devono essere nostri
Noi siamo indifesi loro sono indifesi
Sono nostri."
Naši su.
Il testo è, meravigliosamente, bilingue. Ognuno lo indaghi a suo modo in una paziente lettura e rilettura solitaria.
LA LINGUA
In valigia, con la biancheria, ficcammo dentro la lingua, unico tesoro dell'anima,
E le foto dei genitori, e dei figli, e partimmo per la battaglia
Contro i mulini a vento che l'aria olandese macinano. Ma, meglio
Così che contro il fratello, contro l'amico, le canne della lingua "propria" puntare
Contro la lingua "altrui"!
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