di Maria Rosa Mura
Ho letto una breve pagina di Adam Zagajewski. È nascosta in un testo con molti altri racconti e riflessioni di maggior estensione: Tradimento, tradotto da Valentina Parisi e pubblicato da Adelphi nel 2007.
Lo scrittore e poeta polacco nel primo di questi racconti, Le due città, parla del mito familiare di Leopoli (oggi l’ucraina L’viv), la città della Galizia, che alla fine del secondo conflitto mondiale intere famiglie dovettero abbandonare per essere deportate nella Slesia sottratta alla Germania e assegnata alla Polonia. Anche la sua famiglia approda nella grigia Gliwice e qui vive i lunghi anni del regime socialista. Vi fanno riferimenti i racconti, Archivi aperti, che ricostruiscono la vita quotidiana del tempo ed in particolare Tradimento, che dà il titolo alla raccolta e denuncia gli inevitabili compromessi anche degli intellettuali.
Ma per tornare alla pagina che vi dicevo: si intitola In difesa degli aggettivi ed è un modo quantomeno inconsueto di pensare alle parole.
“Ci raccomandano spesso di evitare gli aggettivi. Uno stile fluente, si dice in giro, se la cava alla perfezione senza aggettivi, gli basta il robusto arco del sostantivo e la freccia mobile e curiosa del verbo.” Ma per l'autore “Sostantivo e verbo bastano ai soldati e ai capi dei paesi totalitari. L'aggettivo, invece, è l'indispensabile garante dell'individualità degli oggetti e degli uomini. C'è una catasta di meloni su una bancarella. Per chi si oppone agli aggettivi la questione non sussiste. ‘I meloni sono sulla bancarella.’ Tuttavia, uno dei meloni è giallo come l'incarnato di Talleyrand durante il suo intervento al Congresso di Vienna; un altro è verde, acerbo, pieno di giovanile arroganza; un altro ancora ha le gote infossate, è immerso in un profondo, luttuoso silenzio, come se non sopportasse l'idea di lasciare i campi della Provenza. Non ci sono due meloni uguali. Alcuni sono oblunghi, altri panciuti. Duri o morbidi. Profumati di campagna e di tramonto oppure asciutti, rassegnati, uccisi dal trasporto, dalla pioggia, dalle mani di uomini estranei, dal grigiore del cielo dei sobborghi parigini.”
Insomma “L'aggettivo è per la lingua quel che il colore è per la pittura."
Ma non tutti lo amano. "L'esercito limita la quantità di aggettivi. Solo l'attributo 'stesso’ incontra il favore dei suoi occhi incolori. Stesse divise, stessi fucili. Chiunque sia tornato dall'addestramento militare, abbia nuovamente indossato abiti borghesi e sia andato a passeggio per una città borghese, si ricorderà l'inverosimile esplosione di aggettivi, colori, sfumature, forme, differenze con cui lo accoglie un universo pieno di individualità distinte.”
L'etica non sopravviverebbe un giorno e non ci sarebbero ricordi senza aggettivi.
“Evviva l'aggettivo! Piccolo o grande, dimenticato o attuale. Abbiamo bisogno di te, caro aggettivo…”