Tu sei qui

Prima le donne e i bambini

di Gracy Pelacani

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Continuavano a risuonarmi in testa sempre le stesse parole mentre me ne stavo tranquillamente seduta su quel muretto, le gambe penzoloni da una parte, il sole che tramontava alle mie spalle. Davanti, l’orizzonte.

Mi rendevo conto all’improvviso che bastava un piccolo insieme di parole, quelle che da giorni rim-balzavano da un notiziario all’altro, e che usavamo per parlare di chi stava dall’altra parte di quel muro, per raccontare che cosa e chi erano per noi quelle donne e quegli uomini senza volto.

Quelle parole parlavano per noi, e ci aiutavano a nascondere i pensieri che, forse per vergogna, nessuno osava pronunciare ad alta voce.

Ripensavo alle immagini che sembravano non essere cambiate dalla tragedia dell’autunno precedente.

Centinaia e centinaia di morti anonimi lasciano il segno.

Mi sarei potuta convincere senza sforzo che fossero state riciclate per l’occasione, ma mi sbagliavo.

Avevo appena sentito alla radio le ultime notizie: nuovi sbarchi, nuovi arrivi, vecchie irrisolte questioni.

Prima le donne e i bambini, prima le donne e i bambini.

Questo si sentiva dire al servizio del telegiornale di mezzogiorno, quando il giornalista era così bravo da riuscire ad avvicinarsi alla nave appena attraccata e ricolma di volti spenti e assenti, per regalarci non solo le immagini ma anche i suoni della disperazione. Un piccolo gruzzoletto di parole a ricordarci che la capacità di riconoscere il più debole e vulnerabile non era andata persa del tutto. Ma queste donne e questi bambini non si fa mai in tempo a vederli perché poi, inesorabile, arriva sempre il cambio dell’inquadratura.

In scena compaiono le navi delle forze dell’ordine che solcano le onde. Anche quelle, immagini note.

Le forze dell’ordine. Di quale ordine, però, non è mai dato sapere. A noi basti sapere che sono forze, e le forze proteggono, per definizione. Con questa consapevolezza ci portiamo alla bocca la prima forchettata di fumante pasta al pomodoro debitamente cosparsa di formaggio mentre il telegiornale prosegue.

Si ringraziano le forze dell’ordine per il loro apporto all’operazione Mare Nostrum, si sente aggiungere da qualche mese.

Le forze proteggono un ordine nel mare, che è nostro. E non importa che tu non lo senta tuo quel mare, e che la cartina geografica ti mostri le linee delle coste di tutte le restanti parti di mondo che su quello stesso mare si affacciano. Quel mare è nostro, abbiamo le forze e abbiamo un ordine da difendere.

Non si sta affatto male seduti quassù, mi dico. A vederlo lo facevo più scomodo, dopotutto è sempre un muro, ma devo ammettere di essermi sbagliata. Pensavo di essere sola, ma ora che mi guardo intorno scorgo le sagome di molti altri come me, anche se non tutti guardano al mio stesso orizzonte.

Alcuni hanno gli occhi chiusi, tutti assaporiamo in silenzio il tepore del sole.

A tutto quel che accade dietro di noi diamo le spalle, ci arrivano solo rumori lontani. Nella parte di mondo che ci sta di fronte, mandiamo la nostra ombra come intermediaria.

Eppure siamo consapevoli che anche in quella parte di mondo che ignoriamo il sole sta tramontando.

Non sappiamo nulla di quel che succede lì, ma in fondo poco ci importa. Per guardare, e tentare di capire, dovremmo girarci privandoci così del tepore del sole.