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La mostra “Pig Iron” del fotografo Giulio Di Meo

A Trento dal 3 al 18 marzo negli spazi di Torre Mirana

La mostra “Pig Iron” del fotografo Giulio Di Meo

Continua nel 2016 il progetto Il rifiuto della Terra, Ambiente devastato e migrazioni

di Maria Rosa Mura

I luoghi che il fotografo Giulio Di Meo osserva si trovano lontani dalla nostra quotidianità, ma sono strettamente connessi con noi perchè facciamo parte tutti di un sistema ormai da tempo globale e di un meccanismo economico che ci coinvolge/travolge tutti, alcuni con effetti positivi, molti con conseguenze disastrose. Prendiamo la mostra che viene inaugurata il 3 marzo e resta allestita a Torre Mirana fino al 18 dello stesso mese: vi si vedono luoghi e persone che vivono lungo l'asse della linea ferroviaria di mille chilometri che porta il ferro di una ricca miniera del nord est del Brasile fino alla flotta di navi che lo inviano in tutto il mondo.

Nella zona domina la Vale, la multinazionale mineraria nata in Brasile, il maggior produttore ed esportatore di ferro al mondo, a cui è stato assegnato il provocatorio Public Eye Award 2012, il "premio" vergogna riservato ad aziende che si distinguono per attività non rispettose dell'ambiente e dei diritti umani.* Profittando della ferrovia e di un trasporto economico la Vale ha avviato lungo il tracciato le prime lavorazioni del ferro, "il ferro dei porci" che scarica dentro le case la polvere scura che insozza tutto ed entra nei polmoni; forni industriali per produrre carbone ricavato da una monocoltura di eucalipto che toglie terra alle popolazioni locali, mentre, di nuovo, crea problemi di salute. Ha dislocato persone per fare spazio ai suoi impianti di stoccaggio e, per profittare al massimo delle ampie aree in via di deforestazione e del trasporto ferroviario, ha creato anche coltivazioni estensive di soia, utilizzata in tutto il mondo per mangimi e maledetta per l'uso di diserbanti tossici e inquinanti, una agricoltura che rafforza il latifondo e, di nuovo, estromette le piccole famiglie contadine. Convogli interminabili portano le ricchezze dalle miniere del Carajàs al porto di São Luìs: ai contadini del nord est resta solo la povertà delle loro vite.

 

 

Un altro lavoro di Giulio Di Meo ci mostra invece la vita nei campi Saharawi persi nel nulla del deserto algerino.

Qui vivono 200.000 persone in esilio, fuggite dal paese quando 350.000 civili e 25.000 soldati marocchini occuparono il loro paese, con la cosiddetta Marcia verde del 1975. Chi è invece rimasto nel Sahara occidentale subisce continue violazioni dei propri diritti, come da tempo denuncia Amnesty International. Gli uni e gli altri in attesa che si svolga il referendum deciso nel 1991 dal Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite con cui dovrebbero poter scegliere tra indipendenza e annessione al Marocco**. La povertà dei campi profughi ha come contraltare la ricchezza scoperta nei loro territori di origine, i fosfati di cui il Marocco è diventato il più grande esportatore mondiale dato che si è impadronito della più vasta miniera del mondo a cielo aperto (oltre a ricche riserve di idrocarburi non ancora sfruttate).  

Si tratta da tempo di un sistema che si ripete in modo analogo in tutte le parti del mondo: le risorse naturali diventano una maledizione per le popolazioni del posto se non hanno la tecnologia e le possibilità economiche di sfruttare i giacimenti in modo autonomo. Chi è più forte se ne impadronisce, anche con guerre sanguinose e lascia dietro di sè devastazioni e miseria. Si pensi a quanto scrive David van Reybrouck sul destino del Congo, così grande e così ricco, e ai suoi milioni di morti, fino ai nostri giorni, http://www.ilgiocodeglispecchi.org/libri/scheda/congo

È la bramosia predatoria dell'estrattivismo, i meccanismi economici che abbiamo avviato e a cui non vogliamo rinunciare. Come consumatori e come produttori siamo inseriti in un mercato globale che ignora per il profitto i diritti delle persone e devasta l'ambiente. Due luoghi lontani nel mondo come quelli illustrati dai lavori di Giulio Di Meo hanno stretta relazione con i cittadini italiani che utilizzano ampiamente i prodotti derivati da queste estrazioni senza sapere e pensare a quale ne sia l'origine e il percorso. Nel caso della Vale c'è perfino un rapporto diretto dato che la multinazionale è in società con l'ILVA di Taranto. Vi sono in questi luoghi e in molti altri nel mondo lotte di resistenza, piccoli gruppi di senza terra, coraggiose donne saharawi, comunità indigene che proclamano il diritto di vivere e difendono la loro terra. Naomi Klein *** richiama la nostra attenzione sulle piccole comunità in lotta contro lo sfruttamento eccessivo, che inquina il territorio e mina la salute del pianeta, ci ricorda la loro debolezza di fronte ai ricchi e potenti del mondo, che la loro lotta è anche a nome nostro e per la difesa dei beni di tutti. Piccoli nuclei che difendono l'ambiente e i diritti umani inviolabili hanno di fronte un'impresa impossibile se la conducono da soli, se entra invece a far parte di un movimento diffuso a livello globale si possono ottenere dei risultati che vanno a vantaggio di tutti gli uomini.

*Per la sua rilevanza internazionale ed i suoi comportamenti Silvestro Montanaro (Raitre, "Cera una volta") le ha dedicato il documentario "Non Vale", http://www.rai.tv/dl/RaiTV/programmi/media/ContentItem-a40aa368-6500-432...

** Atlante dei conflitti e delle guerre, sesta edizione, a cura dell'associazione 46° parallelo,Terra Nuova edizioni, 2015, pag. 78-81

 

***Naomi Klein, Una rivoluzione ci salverà. Perchè il capitalismo non è sostenibile, Rizzoli, 2015, traduzione di Monica Bottini, Daniele Didero, Natalia Stabilini , Leonardo Taiuti