Documentario diretto da Elia Moutamid e scritto da Simone Brioni, racconta l'esperienza di una donna davvero eccezionale, che aspira con grande determinazione a realizzare le sue ambizioni in Italia, nonostante il sessismo e il razzismo in cui si imbatte. Prima donna nera a fondare una testata giornalistica, studiosa, scrittrice, autoironica e provocatoria, Makaping era già nota a chi si occupa di tematiche affini grazie a un libro che aveva pubblicato nei primi anni 2000 e poi riproposto da Rubettino nel 2022 dal titolo Traiettorie di sguardi. E se gli altri foste voi? un testo che ancora oggi resta una lettura fondamentale per indagare nelle pieghe di una società ancora fitta di ostacoli per le donne nere, soprattutto per quelle che non piegano il capo, e di cui questo documentario rappresenta un completamento importante sotto altra forma.
Il successo nelle sale del film di Matteo Garrone, Io capitano, accende un lumino di speranza in questi tempi in cui gli sbarchi sono raccontati con allarmismi roboanti che impediscono un approccio razionale alla questione migratoria e che rendono quasi impossibile anche solo di immaginare le storie individuali che si celano dietro le cifre. Il pregio del film è quello di creare empatia, di permettere a chi guarda l’immedesimazione nei sogni e negli incubi che i protagonisti vivono nel loro viaggio verso l’Europa, spinti non da guerre, fame o eventi climatici estremi, bensì da un sacrosanto e umanissimo desiderio di realizzazione.
Osserviamo l’alternarsi di registri che vanno dal realismo spietato alla favola, con elementi di poetico surrealismo che alleggeriscono il dramma. Non sempre il discrimine tuttavia appare netto, poiché vi sono scene chiaramente realistiche che perdono in credibilità; un’ulteriore nota critica potrebbe ravvisarsi nella rappresentazione della comunità senegalese da cui i due protagonisti provengono, tratteggiata forse in maniera che rasenta il folclore. L’umanità, l’etica e l’onestà del protagonista colpiscono, e si manifestano in un crescendo di maturità che vede il suo climax nella scena finale.
Al netto delle critiche, resta un film che andrebbe visto e rivisto, proprio per la capacità che ha di produrre immedesimazione. Risulta amaro constatare che di favola si tratta, perché la storia raccontata, a parte forse l’inferno libico e i sogni di realizzazione umanissimi dei due personaggi principali, non trova molti altri riscontri nella realtà. Credo che non pochi abbiamo guardato con tenerezza e compassione alla gioia - legittima e comprensibile - di chi finalmente vede l’approdo, ma che ignora che le sofferenze non sono finite e che l’Europa non è quella che si aspettava.
“Peregrino – I confini del Game” è un reportage che accende i riflettori sui viaggi disperati dei migranti lungo la rotta balcanica. “Il gioco” è il nome che viene dato dai migranti al tentativo di attraversamento di una frontiera. Il documentario racconta in modo nitido il loro viaggio verso il continente europeo: le torture subite dalle varie polizie, lo spaesamento e le continue privazioni dei diritti fondamentali. Un viaggio in cui in gioco è la loro vita.
Qui un articolo e il link dal quale si può prenderne visione
La pellicola era nella mente del regista regista Andrea Andreotti fin dagli inizi degli anni 2000, quando il fenomeno migratorio iniziò ad acquistare un certo rilievo ai suoi occhi. Nel 2018, in periodo in cui la migrazione ha assunto un peso importante nella vita delle nostre comunità, ha deciso di produrlo.
Dodici voci che racconteranno storie simili nell'incipit, ma diverse nella drammaturgia. Dentro la scenografia della città che si avvicina alle feste, in un tempo significativo per la comunità, in un momento dell'anno intimo ma allo stesso tempo collettivo, i protagonisti racconteranno la propria storia e ci confideranno i cambiamenti personali e le esperienze di chi lascia una cultura per confrontarsi con un luogo altro.
Dodici testimoni che ci racconteranno le scoperte, le gioie, le delusioni, le disperazioni che il lasciare la propria terra porta con sé. Andrea, regista trentino, si occupa prevalentemente di documentari in campo sociale, culturale, musicale e biografico.
Il film è il primo lungometraggio di un regista figlio di immigrati srilankesi che mette insieme elementi e valori della propria cultura di origine con quelli della cultura italiana. Il film è anche il primo esempio di uno sguardo cinematografico di un autore di “seconda generazione”. “Per un figlio” è girato a Verona, dove Suranga D. Katugampala è cresciuto e vive. Lì Sunita, una donna srilankese di mezz’età, divide le sue giornate tra il lavoro di badante e un figlio adolescente. Fra di loro regna un silenzio pieno di tensioni. È una relazione segnata da molti conflitti. Essendo cresciuto in Italia, il figlio fa esperienza di un’ibridazione culturale difficile da capire per la madre, impegnata a lottare per vivere in un Paese al quale non vuole appartenere. A proposito del film dice Suranga D. Katugampala: “L’unica cosa certa era l’urgenza di raccontare, di dire “noi ci siamo”, “le nostre storie sono anche le vostre storie, le storie di un mondo comune. E’ nato un film minimalista – spiega – Il sogno di un cinema semplice si stava realizzando mentre noi cavalcavamo l’onda felice di raccontare la nostra storia. Abbiamo unito le forze, affrontato mille problemi, srilankesi ed italiani, perché era la storia di ognuno di noi”.
“Per un figlio” è stato scritto da Suranga D. Katugampala e da Aravinda Wanninayaka, è stato prodotto e distribuito da Gina Films di Antonio Augugliaro – regista di “Io Sto con la Sposa”. In collaborazione con Gianluca Arcopinto, Cineteca di Bologna, Kalà Studio, Archivio Memorie Migranti, Amici di Giana. Il film ha vinto nel 2016 il premio della giuria al Pesaro Film Festival. Nel 2017 è stato selezionato al Dhaka International Film Festival e al Tallinn Black Night Film Festival. Nel cast anche Louis Shirantha Fernando e Isabella Dilavello.
Video interviste realizzate all'interno di un progetto di ricerca dottorale presso l'università di Bologna (campus di Forlì) da Federica Ceccoli.
Alcuni giovani nuovi italiani sono intervistati sul loro essere traduttori/mediatori quasi inconsapevoli. Colpisce la genuina saggezza e spontaneità di molti degli intervistati, che, tra difficoltà e soddisfazioni, compiono quotidianamente il loro mestiere di "traduttori" per genitori, amici, compagni in difficoltà.
Chinué è una ragazza di Napoli, una giovane “G2” che si ritrova alle prese con una gravidanza inaspettata. I suoi genitori non vedono di buon occhio la sua simpatia per un ragazzo di Napoli, e questo complica le cose. Un racconto magico che ha come sfondo il dramma di “Romeo e Giulietta”, una messa in scena alla quale la stessa Chinué partecipa e che vede contrapposti come Montecchi e Capuleti gli italiani ed i migranti. Un cortometraggio che fa riflettere su molte questioni, dai G2, al rapporto genitori-figli, ai problemi legati all'adolescenza, a prescindere dal colore della pelle. Premio Migrarti Cinema 2017.
Un film che colpisce per la capacità del regista di prevedere e portare in scena, due anni fa, (quando ha iniziato a lavorarci) una realtà che oggi è sotto gli occhi di tutti: Corrado è un alto funzionario del Ministero degli Interni italiano specializzato in missioni internazionali contro l’immigrazione irregolare. Il Governo italiano lo sceglie per affrontare una delle spine nel fianco delle frontiere europee: i viaggi illegali dalla Libia verso l’Italia. La missione di Corrado è molto complessa, la Libia post- Gheddafi è attraversata da profonde tensioni interne e mettere insieme la realtà libica con gli interessi italiani ed europei sembra impossibile. Corrado, insieme a colleghi italiani e francesi, si muove tra stanze del potere, porti e centri di detenzione per migranti. La sua tensione è alta, ma lo diventa ancor di più quando infrange una delle principali regole di autodifesa di chi lavora al contrasto dell’immigrazione, mai conoscere nessun migrante, considerarli solo numeri. Corrado, invece, incontra Swada, una donna somala che sta cercando di scappare dalla detenzione libica e di attraversare il mare per raggiungere il marito in Europa. Come tenere insieme la legge di Stato e l’istinto umano di aiutare qualcuno in difficoltà? Corrado prova a cercare una risposta nella sua vita privata, ma la sua crisi diventa sempre più intensa e si insinua pericolosa nell’ordine delle cose. Non sveliamo il finale, tuttavia ci sentiamo di commentare che Segre, con questo suo film, racconta davvero l'ordine delle cose, sarà lo spettatore a decidere, in cuor suo, se questo ordine gli/le sta bene oppure no. Un film che, senza puntare il dito, fa riflettere profondamente sullo statu quo.
Quarantacinque bambini con i loro genitori ci permettono di ragionare sul tema dell'integrazione. Il trailer è disponibile qui
Davide Sibaldi è regista, scrittore e pittore.
“Il primo meraviglioso spettacolo” è l'ultimo dei suoi film, un documentario patrocinato da AMNESTY INTERNATIONAL e sostenuto dall’UNICEF che affronta con positività e gioia le tematiche attuali dell’immigrazione e dell’integrazione di bambini stranieri e di bambini con disabilità psichiche e delle loro famiglie.
Basato sul libro “Giuseppe e lo Sputafuoco” scritto e illustrato da Davide Sibaldi e presentato al Salone del Libro di Torino 2016, il documentario racconta la storia di un grande spettacolo teatrale in cui recitano 45 bambini provenienti da 11 Paesi del mondo.
È la realtà plurale di Ghedi, in provincia di Brescia, che si manifesta soprattutto nelle interviste, ai bambini e ai loro genitori, che si alternano al lavoro per produrre lo spettacolo e si intrecciano con gli affascinanti disegni.
Il regista indaga le relazioni interpersonali, i rapporti con l'Altro, la coscienza di sè e la capacità di vivere in modo pieno; si sofferma soprattutto sul concetto di felicità e di quanto della gioia dell'infanzia possa permanere nell'adulto.
Kamla si è da poco trasferita con i genitori in un palazzo degradato alla periferia di Trieste abitato da altre famiglie di immigrati e da un vecchio professore che odia tutti. Quando arriva la lettera di sfratto, determinati a non lasciare le proprie case, gli uomini reagiscono con rabbia alle minacce del padrone fuorilegge, mentre le donne si uniscono per salvare il destino delle proprie famiglie, tra risate, pianti e incomprensioni. Intanto la piccola Kamla e il professor Leone diventano amici contro la volontà del padre, mentre la madre Shanti presto rivela il dono di saper ballare come una star di Bollywood. Con l’aiuto di un’amica italiana, nasce il progetto di una scuola di danza e nel quartiere già si parla delle Babylon Sisters. Tratto dal romanzo di Laila Wadia, Amiche per la pelle