Un libro di Vincenzo Passerini con la prefazione di Alex Zanotelli
Ricordati che sei stato straniero anche tu
Intervista a cura di Fulvio Gardumi
Ricordati che sei stato straniero anche tu è il titolo del libro che Vincenzo Passerini ha dato recentemente alle stampe per le edizioni Il Margine (pp. 82, euro 8): si tratta di un piccolo e denso volume che si apre con una lettera-prefazione di padre Alex Zanotelli. Passerini, già assessore provinciale all’istruzione, è attualmente presidente regionale del Cnca (Coordinamento nazionale comunità di accoglienza), una federazione di associazioni e cooperative impegnate sul fronte delle povertà e delle fragilità sociali.
Passerini, da dove nasce il titolo del libro?
C’è uno splendido passo del Levitico, uno dei primi cinque libri della Bibbia, cioè la Torah degli Ebrei, che recita: “Il forestiero dimorante fra voi lo tratterete come colui che è nato fra di voi; tu l’amerai come te stesso, perché anche voi siete stati forestieri in terra d’Egitto”. E’ un grandioso comando che ci ricorda che tutti siamo “stranieri”, che l’essere straniero è una condizione dell’uomo di tutti i tempi e di tutti i luoghi, che tutti abbiamo bisogno di essere accolti e rispettati, che non dobbiamo fare differenza tra chi è nato fra di noi e chi è arrivato da fuori. Italiani e trentini hanno ben sperimentato la condizione di straniero.
E allora, perché tanta diffidenza e a volte tanta ostilità nei confronti degli stranieri, immigrati e profughi?
L’altro, quando non lo conosciamo, ci spaventa. Conoscere chi arriva tra di noi è il primo passo. Ed è una esperienza straordinaria. Ma richiede pazienza, atteggiamento positivo, curiosità, amore per gli esseri umani, le loro sofferenze, i loro progetti, le tante cose nuove che possono regalarci. Certo è che se certi partiti politici alimentano la diffidenza e l’ostilità, la paura dell’altro cresce. Le nostre società, al di là di queste miserie politiche, sono comunque “costrette” a fare i conti con l’altro. Ed è meglio per tutti fare ogni sforzo per costruire dialogo, amicizia, rispetto reciproco. Dobbiamo imparare a stare insieme, con le nostre differenze. Un bel compito.
Di fronte al dramma gigantesco dei profughi siamo impreparati?
Ci sono 60 milioni di profughi nel mondo, mai così tanti in così breve spazio di tempo, ci dicono le Nazioni Unite. E l’86% di loro è accolto nei paesi cosiddetti in via di sviluppo, non nei paesi ricchi. In Libano c’è più di 1 milione di profughi, 232 ogni mille abitanti. In Italia c’è 1 profugo ogni mille abitanti. Sarebbe questa un’invasione? Guerre, persecuzioni, povertà, disastri ambientali costringono milioni di esseri umani a scappare. E spesso sono i paesi ricchi la causa di tutto ciò. Basti pensare alla colossale produzione di armi che poi viene “consumata” prevalentemente nel Vicino Oriente e in Africa, le aree del mondo da cui proviene la stragrande maggioranza dei profughi. Certo, siamo impreparati ad accogliere, ma siamo soprattutto ciechi di fronte a un mondo che si regge sull’ingiustizia, lo sfruttamento delle risorse naturali, il commercio delle armi e il controllo delle risorse energetiche. Bisogna cambiare profondamente, altrimenti i poveri e i perseguitati cresceranno e non ci saranno leggi o muri a fermarli.
Spesso si vedono solo problemi nel fenomeno migratorio.
Distinguendo tra migranti, che volontariamente si spostano, e profughi, che sono costretti a spostarsi, possiamo dire, comunque, che le nostre società hanno bisogno degli stranieri. Il calo demografico dei paesi europei è impressionante e se non ci fossero i nati dei genitori stranieri queste società sarebbero destinate a morire. Vale anche per il Trentino. Gli stranieri poi tengono in piedi alcuni settori della nostra economia e dei nostri servizi. Agricoltura e assistenza agli anziani, ad esempio, crollerebbero senza la presenza di lavoratrici e lavoratori stranieri. Sono presenze preziose. Dobbiamo essere loro grati.
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“Emigranti” è una parola in qualche modo nobile. Evoca coraggio, tenacia, capacità di rompere con il proprio mondo per cercarne un altro, a costo di andare incontro a tante difficoltà, a tante incomprensioni, anche a tante umiliazioni. Ma di andarci fieri di se stessi, fieri della propria storia, per quanto umile possa essere. E ostinati a realizzarsi, a poter esprimere quanto più possibile ciò che si ha dentro, a rivendicare il proprio diritto a un di più di felicità, a un di più di benessere per sè e per la propria famiglia, a un di più di cultura, a un di più di libertà.
“Immigrati” non è invece una parola altrrettanto nobile. Evoca disturbo, fastidio, occupazione di spazio altrui. Evoca invadenza, rumore, confusione. Evoca anche di peggio nell'immaginario collettivo dei nostri giorni.
Non è forse vero?
Eppure, ambedue queste parole, l'una nobile l'altra meno nobile, indicano la stessa cosa, la stessa realtà.
Cambia soltanto il punto di vista, il punto di osservazione. Noi ci vediamo e ci raccontiamo come emigranti (con tutto quel che di nobile questo evoca). Gli altri (gli svizzeri, i germanici, i francesi, i belgi, gli americani, gli australiani) ci raccontano come immigrati (con tutto quello che di poco nobile questo evoca).”
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