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L'accaparramento delle terre e il lungo viaggio di Soma

L’accaparramento delle terre e il lungo viaggio di Soma

di Maria Serena Tait

Mi chiamo Soma Makan Fofana. Vengo dal Mali e sono in Italia da 4 anni. Il motivo per cui ho dovuto lasciare il mio paese è legato all’accaparramento delle terre in Africa”

Comincia così il racconto, lungo come la sua vita, di Soma. Mi rendo conto subito che si tratta di un racconto ripetuto innumerevoli volte a tanti intervistatori che, come me, desideravano capire, ascoltando la sua storia, come è stato possibile per lui costruirsi una nuova vita e realizzare i suoi sogni. Il tono paziente e lo sguardo intelligente ed ironico mi lasciano intuire come ormai conosca così bene le possibili domande da anticiparle nella maggior parte dei casi, soffermandosi con più forza su ciò che può colpire e coinvolgere di più l’ascoltatore.

 

Quasi subito ho smesso di fare le domande che avevo immaginato per farmi catturare dal suo racconto. Alla fine mi rendo conto di aver trovato molto di più di quello che cercavo e soprattutto di quanto sia inutile mettersi in ascolto del racconto di una vita pensando di trovare risposte su alcuni interrogativi che i giornali, o i discorsi della gente sollevano continuamente. Quella che scopri è una realtà talmente complessa e lontana da quella che conosciamo che, tanto per fare un esempio, la sola pretesa di operare dei distinguo tra richiedenti asilo e migranti per motivi economici sembra in realtà capziosa e quasi ridicola. 

Soma ha impiegato due anni per raggiungere l’Italia, è partito da una paese che non era in guerra ma dove l’accaparramento delle terre stava togliendo ai contadini le risorse per sopravvivere e nel corso del suo viaggio si è trovato coinvolto nella guerra in Libia. La nostra attenzione tende a focalizzarsi sui rischi legati all’attraversamento del braccio di Mare tra Libia e Italia sui barconi, ma il rischio di perdere la vita accompagna il viaggio fin dall’inizio e diventa terribile nell’attraversamento del deserto. La spoliazione di ogni piccolo risparmio è continua e sistematica. Ogni soldo guadagnato lavorando lungo il percorso del viaggio finisce nelle mani di chi fornisce i camion, delle guardie ai posti di blocco, dei soldati-bambini con i mitra spianati, di chi fornisce i barconi senza neppure un marinaio che possa governare l’imbarcazione in mare, ma prima provvede ad alleggerire chi si imbarca di soldi, vestiti appena decenti e scarpe. Tra chi è in fuga all’inseguimento di una vita migliore si creano legami importanti, momenti di solidarietà, si scambiano impegni e promesse che possono vanificarsi quando la disperazione e l’istinto di sopravvivenza impongono delle scelte. Mantenere il rispetto per se stessi e la fiducia negli altri è una prova che si rinnova ogni giorno. Il coraggio e la capacità di andare avanti traggono linfa dalla disperazione assoluta, dal sapere che vita o morte non fanno poi molta differenza perché ormai non c’è più niente da perdere.

Soma era stato adottato da una famiglia di contadini che nel 2007 si è trovata improvvisamente a non poter più lavorare le terre sulle quali viveva da più di 700 anni.

 

Per effetto del “Land grabbing”, l’accaparramento delle terre da parte di grandi aziende cinesi e libiche nel Mali, i contadini avrebbero avuto la possibilità di continuare a coltivare una parte dei loro appezzamenti pagando un affitto per ettaro pari anche a 20 volte il costo della concessione per ettaro pagata da queste aziende al governo. Molte famiglie si sono disgregate su questa scelta perché costrette a mandare i figli a lavorare altrove per poter pagare gli affitti delle terre e contemporaneamente a privarsi della loro forza lavoro riducendo produzione e redditività. Un circolo vizioso senza soluzione, malgrado le proteste con qualche tentativo di aggregazione per avere una risposta dalle amministrazioni locali o dal governo. I soldi pagati dai governi stranieri o dalle multinazionali per le concessioni si sono dimostrati più importanti per le autorità della disgregazione e delle difficoltà delle comunità locali e la stessa economia agricola degli stati come il Mali è cambiata profondamente in quanto vengono privilegiati nella produzione su grandi aree piante per produrre biodiesel, mais, riso, girasole, non sempre destinate all’alimentazione, o comunque non a quella del paese dove vengono coltivate.

 

Per Soma, che aveva allora 15-16 anni, la ragione e il senso di quanto stava accadendo a livello mondiale è diventata chiara solo anni dopo, in Italia, quando ha avuto accesso a fonti d’informazione non di parte. La sua vita però è cambiata immediatamente in quanto la famiglia adottiva lo ha allontanato non potendolo più mantenere, mentre la famiglia biologica, nella quale aveva sperato di poter tornare, non aveva più nei suoi confronti legami di affetto e sicuramente nessuna possibilità economica per riaccoglierlo. Per tre anni vive di espedienti o di piccoli lavori legati al turismo, come il facchinaggio alle stazioni, finché parte per Gao dove stringe amicizia con Amadou Fofana, che lo convince che per lui nel Mali non c’è nessun futuro e che deve prendere in mano la sua vita e partire.

Con l’aiuto di Amadou noleggiano un piccolo pick up dove si stipano in 32 e inizia il viaggio di 2 giorni verso l’Algeria con Soma Makan sempre appeso in piedi all’esterno. Due dei compagni di viaggio muoiono. In Algeria si fermano un mese e 17 giorni per guadagnare i soldi per la seconda tappa del viaggio, verso la Libia. Sono in 38, il viaggio durerà quattro giorni trascorsi in piedi perché manca lo spazio per sedersi. Prima di partire Soma aveva acquistato tonno, pane e carta. Il primo giorno ha mangiato il tonno, il secondo ha usato la carta per ripararsi dal sole e il terzo ha mangiato la carta con la propria urina. Vengono abbandonati in mezzo al Sahara molto lontani dal confine con la Libia. Amadou prova a protestare perché il viaggio prosegua o almeno li riportino indietro e gli sparano. Morirà per la ferita mentre, divisi in piccoli gruppi per sfuggire alla polizia, tentano di raggiungere a piedi la Libia. Solo 4 su 6 arrivano vivi alla casa di un pastore vicino al confine, dove si nutriranno del pane vecchio e dell’acqua delle capre. Quando finalmente raggiungono la Libia vengono lasciati entrare ma devono lasciare tutti i risparmi rimasti alle guardie di frontiera. Percorrono altri 42 km a piedi per raggiungere la città più vicina. Qui Soma, che ha ancora qualche dollaro nascosto nell’orlo dei pantaloni, si offre di usarli per telefonare e avvertire i fratelli di due compagni di viaggio nella speranza di essere ospitati. Alla fine partiranno gli altri e lui resterà ancora lì perché non c’è posto per tutti. L’incontro casuale con un amico di vecchia data gli permette di trovare ospitalità e anche di iniziare a lavorare per qualche giorno nella demolizione e nel giardinaggio. Intanto comincia ad imparare un po’ di arabo e il suo impegno sul lavoro viene notato e gli procura un posto fisso in un pastificio. Le cose cominciano a girare per il verso giusto e il padrone, che lo stima e gli si è affezionato, ha iniziato la pratica per i documenti che potrebbero dargli la cittadinanza libica, ha già anche un nuovo nome arabo “Adam”, quando scoppia la guerra civile e ben presto per lui, nero, diventa troppo pericoloso uscire di casa con il rischio di essere scambiato per un mercenario di Gheddafi e ucciso. Mentre si nasconde con altri otto compagni nella stanza dove è alloggiato, viene raggiunto da quattro ragazzi sui 14-15 anni che, armi alla mano, minacciano di ucciderlo se non consegnerà tutti i suoi risparmi. Preferisce consegnare tutto ma questa volta l’ennesima distruzione di ogni speranza e di tutto ciò che pazientemente ha tentato di costruire lo getta nella disperazione e la tentazione di reagire con la violenza è forte. Di nuovo il padrone lo spinge a rifugiarsi in Mali per attendere la fine della guerra e gli anticipa i soldi per il viaggio, ma Soma non vuole più tornare indietro, ormai è disposto a tutto per cambiare definitivamente la sua vita e così assieme all’amico che lo aveva ospitato e aiutato e ad un altro ragazzo che da giorni vedeva dormire in strada sotto le bombe decide di mettere questi soldi in comune per raggiungere la costa libica e imbarcarsi verso l’Europa. Non ha più nulla da perdere e preferisce morire piuttosto che continuare a vivere in questo modo.

Sulla costa li attendono quattro giorni d’inferno in cui vengono picchiati e devono consegnare tutto, non solo i soldi ma anche ogni indumento appena decente. Accettano anche questo, convinti che comunque nessuno li ha chiamati ed è stata una loro scelta arrivare lì. Il terzo giorno parte la prima nave con 480 persone, ma non trovano posto. Quasi subito vengono a sapere che è affondata ma non si scoraggiano, convinti che se gli altri non ce l’hanno fatta qualcuno prima o poi ce la farà. Partono il giorno dopo su un barcone, con bussola e motore ma senza marinai e senza pilota, che dovranno governare da soli. In qualche modo, dopo un passaggio davanti a Malta, di cui vedono le luci nel buio da lontano, arrivano a Lampedusa e qui ancora una volta inizia una nuova vita per Soma. Sulla barca erano in 508 e non è morto nessuno. A Lampedusa ricevono pasta, banane e acqua ma non c’è posto. Subito dopo la registrazione e l’assegnazione di un numero (il suo è il 336) devono ripartire, prima con la nave fino a Genova e poi in pullman. Presenta la domanda come richiedente asilo e viene condotto nel campo di accoglienza di Marco di Rovereto. Passano i mesi e Soma all’inizio collabora come volontario con la cooperativa che opera a Marco, quindi iniziano i corsi e i tirocini di lavoro, mentre contemporaneamente frequenta dei corsi di formazione e infine vince un concorso per il finanziamento di un progetto imprenditoriale che potesse aiutare l’integrazione dei rifugiati. Intanto la sua domanda di asilo viene accolta, si stabilisce a Trento e apre un negozio di prodotti africani, tessuti, gioielli e cibo.

 

Il negozio e il fatto di poter svolgere un’attività autonoma sono per Soma il coronamento di un sogno ma anche il modo di mettere a frutto le sue conoscenze e le esperienze maturate nel lungo viaggio che da un piccolo villaggio agricolo del Mali lo ha portato a Trento. Il suo negozio è anche un punto d’aggregazione molto frequentato da altri giovani africani, il luogo in cui Soma non dimentica di essere stato anche contadino e dove si privilegiano prodotti di piccole aziende africane o di fornitori che lavorano ancora nel modo tradizionale. Quando entra qualcuno gli piace parlare dell’Africa e accompagnare il cliente con spiegazioni esaurienti su come si coltivano, si trasformano e si cucinano i prodotti alimentari, ma anche su chi sono gli artigiani, spesso anziani, sparsi in diversi stati africani, come Tanzania e Burkina Faso, dai quali si rifornisce.

 

Io sono nato contadino e conosco quali sono i prodotti sani, genuini e naturali. Posso avere difficoltà a trovarli, ma so che cosa cerco. So anche che possono costare di più perché vengono fatti in modo non industriale e anche in Africa il mercato penalizza sempre di più le piccole aziende.

Quando vendo un prodotto africano io sono africano e mi piace raccontare da dove viene, come è stato fatto e contemporaneamente trasmettere la cultura dell’Africa.

Soprattutto con i prodotti artigianali io conosco chi li fa e insieme stabiliamo il valore di vendita.

Ho pochi prodotti e tanti fornitori. Anche così riesco ad aiutare l’Africa”