Forse le fortezze sono due: quella simbolo del potere che incombe minacciosa dall'alto come un'ombra, pervadendo di paura tutto l'ambiente.E quella dell'amore, unico rifugio.Due fortezze. Forse. Perché il giovane protagonista dubita di tutto. Segnato dall'esperienza della guerra, vive in una eterna incertezza. Sono buoni gli uomini? sono malvagi? la loro bontà è volontaria o casuale, non porta talvolta a conseguenze negative? e i ladri, gli scrocconi, i fanfaroni perdigiorno non sono anche grandi amici?
La nota critica di Itala Vivan, che chiude il libro, ricorda che questo è un romanzo del 1985, anche se in Italia arriva di recente, e che è stato scritto dall'autore poco dopo la guerra civile nigeriana scoppiata a causa del petrolio tra il '67 e il '70.Lo si ripropone come un doveroso omaggio alla figura dell'autore, uomo politico ed intellettuale assai noto, impiccato nel 1995 con altri otto imputati dopo un processo farsa voluto dalla dittatura militare, ma soprattutto come un testo di alto valore letterario e sempre attuale per temi.L'incipit, ci ricorda sempre la Vivan, è un omaggio a
Diciannove brevi racconti che riflettono molti aspetti di una umanità nell'Africa subsahariana. Dal villaggio con le sue antiche credenze, l'orgoglio per i figli che studiano, i cantastorie ed i nuovi predicatori che lucrano sulla religione, le piccole corruzioni dei capi, i tabù che persistono, alla città moderna dei pigri poliziotti, dei faccendieri che vendono gli stessi terreni a più persone, del coscienzioso maggiordomo che diventa geloso del cane, del funzionario integro e isolato, della casalinga gelosa.
Sei racconti tradotti in italiano per la prima volta e di cui il primo dà il titolo alla raccolta.
Da Cuba dove è emigrato, Manuel torna ad Haiti e la trova ancora più impoverita. Nei lunghi anni di lontananza ha imparato a non rassegnarsi. Cerca quindi l’acqua per irrigare quella buona terra inaridita e si sforza anche di riconciliare le due fazioni ostili in cui s’è diviso il suo paese. Ma sarà necessario un sacrificio di sangue per riemergere dalla povertà e dal rancore.
Il testo è autobiografico, ma della protagonista, portoghese-angolana, si parla in terza persona.
Il breve romanzo dello scrittore afgano, che ora vive a Parigi, racconta il viaggio di un nonno con un nipote, nell’Afghanistan dell’occupazione sovietica degli anni Ottanta, per raggiungere Morad, il rispettivamente figlio e padre al lavoro in una miniera. Il pesante fardello che consuma l’anziano è il dovere di informare il figlio che la sua famiglia è stata cancellata dai bombardamenti e l’unico figlio rimasto, che porta con sé, ha perso l’udito.
Il romanzo è presentato nella puntata radiofonica di Cammei il primo maggio 2009, Radio due regionale.
Un gruppo di guerriglieri angolani è in azione contro i portoghesi nella foresta vergine del Mayombe. Tra loro si sviluppano legami, amicizie, ostilità, raccontati nello svolgersi dei fatti e con pagine affidate a diversi io narranti. Più che un resoconto di guerra il testo è un'analisi dei rapporti degli uomini del gruppo tra loro e con le persone che amano, nonché un puntiglioso esame delle loro azioni: un libro complesso, di riflessione etico-politica, di azione e di sentimenti.
Ci troviamo in Messico, un paese dominato da una classe dirigente corrotta e che sta diventando preda del capitalismo nordamericano che cancella le sue tradizioni. Nel mondo è scoppiato il conflitto arabo-israeliano che trova echi a livello di scuola e di quartiere. Questo lo sfondo su cui si sviluppa, appena accennato, il tenero sentimento d’amore di un ragazzo.
I dipendenti neri della linea ferroviaria Thiès-Dakar-Bamako, nel Senegal, organizzarono nel ’47 uno sciopero di sei mesi. Il romanzo rievoca questo fatto storico, la lotta durissima con morti e prigionieri, la fame inenarrabile, l’attiva partecipazione delle donne che, nell’emergenza, superarono i confini del loro ruolo tradizionale.